Poliss Formazione

Politiche Imprenditoriali , Societarie e Sicurezza
Subscribe

Archive for the ‘Senza categoria’

T.U. Sicurezza sul lavoro: pubblicate le integrazioni normative e amministrative

Giugno 20, 2017 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Ecco la versione aggiornata a maggio 2017 del Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro integrata con accordi Stato Regioni, fonti normative e amministrative e norme

La precedente versione era datata Giugno 2016; tutte le novità succedutesi in un anno sono state inserite a corredo del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (T.U. Sicurezza sul lavoro) pubblicato in versione aggiornata nella pagina “Testo unico salute e sicurezza”, nella sezione “Strumenti e servizi” del sito dell’Ispettorato nazionale del lavoro.

 

Segnaliamo le novità presenti in questa versione:
– Inserite le circolari n. 21 del 7 luglio 2016 (Decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro della salute del 4 febbraio 2011 “Definizione dei criteri per il rilascio delle autorizzazioni di cui all’articolo 82, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modifiche ed integrazioni” – Chiarimenti operativi in materia di rinnovo triennale dell’autorizzazione), n. 23 del 22 luglio 2016 – (Istruzioni per l’esecuzione in sicurezza di lavori su alberi con funi), n. 28 del 30 agosto 2016 – (Indirizzi operativi per la redazione di specifiche procedure per la scalata, l’accesso, lo spostamento, il posizionamento, nonché per il recupero del lavoratore non più autosufficiente: prevenzione del rischio di caduta dall’alto nelle attività non configurabili come lavori sotto tensione su elettrodotti aerei); n. 11 del 17 maggio 2017 – (Decreto interministeriale 11 aprile 2011 – Indicazioni per il rinnovo quinquennale dell’iscrizione nell’elenco dei soggetti abilitati all’effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro, di cui all’Allegato VII del decreto legislativo n. 81/2008);

– Inserito l’Accordo Stato Regioni rep 128/CSR del 7 luglio 2016 finalizzato alla individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi per i responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione, ai sensi dell’articolo 32 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni contenente altresì disposizioni modificative agli accordi del 21 dicembre 2011 ex art. 34, commi 2 e 3, del 21 dicembre 2011 ex art. 37, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2008 e del 22 febbraio 2012 ex art. 73, comma 5, del D.Lgs. n. 81/2008 (G.U. Serie Generale n. 193 del 19/08/2016);

– Sostituito il decreto dirigenziale del 21 luglio 2014 con il decreto dirigenziale del 1° agosto 2016 riguardante il quinto elenco dei soggetti abilitati ad effettuare i lavori sotto tensione in sistemi di II e III categoria;

– Modifiche introdotte all’art. 4, comma 1, del decreto 9 luglio 2012 e agli allegati 3A e 3B ai sensi del decreto 12 luglio 2016, pubblicato sulla G.U. n. 184 dell’8 agosto 2016, in vigore dal 9 agosto 2016 in materia di cartella sanitaria di rischio;

– Modifiche introdotte agli articoli 206, 207, 208, 209, 210, 211, 212, 219, commi 1, lettere a) e b), e 2, lettere a) e b), all’allegato XXXVI, nonché l’introduzione dell’articolo 210-bis, previste dal decreto legislativo 1° agosto 2016, n. 159 (G.U. n. 192 del 18 agosto 2016, in vigore dal 2 settembre 2016) (Attuazione della direttiva 2013/35/UE sulle disposizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici) e che abroga la direttiva 2004/40/CE);

– Sostituito il decreto dirigenziale del 18 marzo 2016 con il decreto dirigenziale del 9 settembre 2016 riguardante il tredicesimo elenco dei soggetti abilitati per l’effettuazione delle verifiche periodiche di cui all’art. 71 comma 11;

– Inserito il Decreto 25 maggio 2016, n. 183, recante “Regolamento recante regole tecniche per la realizzazione e il funzionamento del SINP, nonché le regole per il trattamento dei dati, ai sensi dell’articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81”, pubblicato sul S.O. alla G.U. n. 226 del 27 settembre 2016, Serie Generale;

– Inserito il Decreto Interdirettoriale n. 35/2017, che regolamenta il provvisorio rinnovo, per un periodo non superiore a centoventi giorni, decorrenti dalla data di scadenza delle rispettive iscrizioni, dell’iscrizione negli elenchi dei soggetti abilitati all’effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro, adottati con decreti direttoriali del 21 maggio 2012 e 30 luglio 2012, in scadenza rispettivamente al 21 maggio 2017 e al 30 luglio 2017;

– Inseriti gli interpelli dal n. 11 al n. 19 del 25 ottobre 2016;

– Modifiche agli articoli 18, comma 1-bis e 53, comma 6, nonché all’entrata in vigore dell’obbligo dell’abilitazione all’uso delle machine agricole, ai sensi dell’Accordo Stato-Regioni del 22 febbraio 2012, introdotte dal decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244 (in G.U. 30 dicembre 2016, n. 304), convertito con modificazioni dalla L. 27 febbraio 2017, n. 19 (in S.O. n. 14, relativo alla G.U. 28 febbraio 2017, n. 49), in vigore dal 30 dicembre 2016.

RLS: azioni nella valutazione del rischio con procedure standardizzate

Giugno 13, 2017 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Cosa può fare l’RLS e RLST nella valutazione del rischio aziendale effettuata con le procedure standardizzate?

Il ruolo del RLS o RLST nelle piccole aziende fino a 10 dipendenti è opportuno, in maggior misura rispetto a realtà produttive più grandi, che sia svolto in maniera collaborativa con le altre figure della prevenzione e in particolare il datore di lavoro. Nelle piccole imprese infatti il datore di lavoro spesso è l’unica figura di riferimento se riveste anche il ruolo di RSPP ma anche se il RSPP è esterno ovvero un consulente che interviene nei luoghi di lavoro in maniera solitamente sporadica e poco partecipe. In questo senso la funzione dell’RLS/RLST deve essere la più proattiva possibile con il datore di lavoro alla stesura di una valutazione dei rischi effettivi condivisa e coerente con la realtà, promuovendo, quando possibile, la partecipazione del Medico Competente se nominato.

 

Poiché nelle piccole aziende spesso il lavoro non si svolge unicamente presso la sede legale o la classica unità locale della azienda ma sia a domicilio dei clienti (pulizie, manutenzioni, etc) che all’interno di cantieri complessi o in altre situazioni lavorative esterne spesso impreviste o non prevedibili a priori, l’attenzione dell’ RLS e RLST deve essere rivolta alla valutazione di tutte le possibili situazioni di pericolo per la sicurezza e per la salute in cui il lavoratore o la lavoratrice si trovi ad operare.

 

Alla luce di quanto sopra elenchiamo alcune possibili azioni dei RLS/RLST nella valutazione e gestione del rischio attraverso l’applicazione delle procedure standardizzate:

1) Verificare e contribuire alla descrizione dell’attività dell’azienda, delle eventuali fasi del ciclo lavorativo, dei diversi luoghi di lavoro in cui si realizza in concreto il prodotto o servizio dell’azienda.

2) Verificare e contribuire alla descrizione delle mansioni e dei diversi compiti o postazioni in cui i lavoratori/trici si possono trovare a operare

3) Verificare e contribuire alla identificazione di tutti i pericoli associati alle diverse situazioni lavorative

4) Fornire un supporto alla individuazione delle misure di prevenzione e protezione specifiche

5) Collaborare alla stesura del programma di miglioramento dei livelli di salute e sicurezza

6) Fornire un contributo per l’organizzazione del primo soccorso, della squadra di emergenza nella lotta antincendio e evacuazione dei lavoratori in caso di pericolo grave e immediato.

7) Promuovere la partecipazione tramite incontri di formazione/informazione con i lavoratori/trici

8) Proporre e concretizzare occasioni di incontri e comunicazione tra Datore di lavoro, Medico Competente e RSPP

9) Contribuire a riconoscere e descrivere i mancati infortuni o incidenti e le criticità associate.

10) Collaborare alla realizzazione del programma di miglioramento coinvolgendo e motivando positivamente tutti i lavoratori/trici

11) Proporre il riesame della valutazione per ogni cambiamento significativo del processo produttivo, organizzativo o sulla base di infortuni o segnalazione di effetti sanitari negativi

12) Migliorare le conoscenze dei comparti ove opera può essere utile al RLS Territoriale per proporre soluzioni applicate e condivise in altre aziende simili

Protezione contro i fulmini: normativa e valutazione del rischio

Giugno 13, 2017 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Un documento sulla valutazione del rischio di fulminazione e sulle verifiche degli impianti di protezione si sofferma sull’evoluzione della normativa tecnica. I contenuti e le novità delle linee guida CEI 81-29 e CEI 81-30

Nel recente documento Inail “ Impianti di protezione contro le scariche atmosferiche. Valutazione del rischio e verifiche”, non solo si sottolinea la di valutare i rischi di fulminazione negli ambienti lavorativi e di verificare e controllate periodicamente il sistema di protezione dai fulmini (LPS – lightning protection system), ma si racconta anche la continua evoluzione della normativa.

Evoluzione e novità che, come indicato nel documento, possono avere “un certo impatto sugli adempimenti per essere in regola”. Ad esempio con riferimento a:

– “abrogazione della guida CEI 81-3;

– emissione delle guide CEI 81-29 “Linee guida per l’applicazione delle Norme CEI EN 62305” e CEI 81-30 “Protezione contro i fulmini – Reti di localizzazione fulmini (LLS) – Linee guida per l’impiego di sistemi LLS per l’individuazione dei valori di NG di cui alla Norma CEI EN 62305-2”. E quest’ultima guida nazionale “sarà presto sostituita dalla norma armonizzata EN 62858:2015 ‘Lightning density based on lightning location systems – General principles’)”.

 

 

Per raccontare più nel dettaglio questa evoluzione il documento – prodotto dal Dipartimento Innovazioni Tecnologiche e Sicurezza degli Impianti, Prodotti ed Insediamenti Antropici dell’ Inail – presenta la storia delle norme tecniche per gli impianti di protezione contro le scariche atmosferiche.

Il documento parte dalla storia “non recente” – con riferimento ad esempio alla prima edizione della norma CEI 81-1 “Protezione di strutture contro i fulmini” del 1984 e alla prima edizione della serie normativa EN 62305 nel 2006 – fino ad arrivare alla storia di questi ultimi anni.

 

Si ricorda, ad esempio, che nel febbraio 2013 “entrò in vigore la CEI 81-2Guida per la verifica delle misure di protezione contro i fulmini”, indirizzata principalmente ai professionisti del settore verifiche su impianti di protezione contro le scariche atmosferiche”, dove sono descritte – “riprendendo e rielaborando quanto già contenuto nella CEI 81-10/3 (EN 62305-3)” – “le attività necessarie per effettuare verifiche”.

Successivamente il CEI pubblicò la seconda edizione della norma CEI 81-10 (EN 62305), che “fu integrata dal Comitato Nazionale 81 con molteplici note di chiarimento”.

E nel luglio 2013 fu pubblicata la CEI 81-28 dal titolo “Guida alla protezione contro i fulmini degli impianti fotovoltaici” con lo scopo di indicare “quando, dove e come sono necessarie misure di protezione per la protezione dei campi fotovoltaici sia connessi alla rete elettrica del distributore (con esclusione dei campi stand-alone), sia installati su edifici (su coperture, facciate, parapetti, frangisole, ecc.) sia su serre, pergole, tettoie, pensiline, barriere acustiche e strutture temporanee”.

Tuttavia, “per ragioni legate a regole CENELEC”, nel novembre del 2013 “furono eliminate le note di chiarimento della norma CEI 81-10 (EN 62305) introdotte dal Comitato Nazionale 81 con l’emissione di quattro fascicoli Errata Corrige (EC)”.

Arriviamo al febbraio 2014 in cui furono emesse contemporaneamente la guida CEI 81-29 dal titolo “Linee guida per l’applicazione delle Norme CEI EN 62305” e la guida CEI 81-30Protezione contro i fulmini – Reti di localizzazione fulmini (LLS) – Linee guida per l’impiego di sistemi LLS per l’individuazione dei valori di NG”.

 

Il documento si sofferma ad esempio sui contenuti e novità introdotte dalla CEI 81-29 che fornisce “informazioni supplementari per il corretto utilizzo in ambito nazionale delle Norme CEI 81-10 (EN 62305)” in particolare con l’ausilio di:

– note esplicative ai corrispondenti articoli della Norma Europea;

– informazioni supplementari su specifici argomenti non completamente sviluppati dalla Norma Europea.

In particolare il documento si sofferma su questi aspetti:

– Nodo [art. 3.1.25, CEI 81-10/2 (EN 62305-2)];

– Tensione indotta [Art. A.5, CEI 81-10/4 (EN 62305-4)];

– Densità di fulmini a terra [art. A.1, CEI 81-10/2 (EN 62305-2)];

– Punto caldo [art. 5.2.5, CEI 81-10/3 (EN 62305-3)];

– Frequenza di danno e perdite economiche [CEI 81-10/2 (EN 62305-2)];

– Perdita di vite umane [Tab. C2, CEI 81-10/2 (EN 62305-2)].

 

Ad esempio riguardo alla “Frequenza di danno e perdite economiche” si indica che la frequenza di danno tollerabile è un “parametro che permette di semplificare la valutazione del rischio di perdita economica”.

Nella guida CEI 81-29 è indicato che “la necessità della protezione contro il fulmine per ridurre il rischio di perdita di valore economico R4 andrebbe valutata in base al rapporto fra il costo delle misure di protezione e il beneficio economico ottenuto con la loro adozione. I danni dovuti ai fulmini possono rappresentare un’importante perdita economica nei paesi industrializzati, soprattutto in assenza di adeguate misure di protezione correttamente installate. Non sempre, in fase di valutazione del rischio, è possibile riuscire a quantificare il valore economico delle perdite, con o senza misure di protezione. In tal caso, la guida CEI 81-29 introduce la frequenza di danno per decidere la convenienza e l’adeguatezza delle misure di protezione da adottare”. Nel documento sono fornite alcune indicazioni per il calcolo della frequenza di danno F.

E riguardo alla “Perdita di vite umane” [Tab. C2, CEI 81-10/2 (EN 62305-2)] si ricorda che i dati statistici disponibili nei paesi industrializzati “indicano che il rischio R1 presente nelle strutture è in genere molto minore di quello valutabile con i valori di perdite suggeriti dalla norma CEI 81-10/2 (EN 62305-2)”.

 

Il documento si sofferma poi sui contenuti e novità introdotte dalla CEI 81-30.

 

Si indica che la densità media di fulmini a terra per km2 per anno, NG, è, “generalmente considerata il principale indicatore dell’attività temporalesca ed è, come noto, alla base della valutazione del rischio fulmini. Negli ultimi decenni questa è stata stimata sulla base di rilievi strumentali, effettuati prima con i contatori di fulmine (LFC) e poi, in epoca recente con reti di rilevamento e di localizzazione ormai diffuse nei principali Paesi industrializzati”.

E scopo della CEI 81-30 è quindi quello di individuare, in assenza di normativa internazionale, le caratteristiche delle reti LLS, citate nella norma CEI 81-10/2 (EN 62305-2), affinché i dati ottenuti da queste reti potessero essere utilizzate nell’analisi del rischio prevista nella citata CEI 81-10/2 (EN 62305-2)”.

 

Si ricorda poi che “è stata abrogata (maggio del 2014) la storica CEI 81-3Valori medi del numero dei fulmini a terra per anno e per chilometro quadrato dei Comuni d’Italia, in ordine alfabetico”; obbligando di fatto tutti i datori di lavoro, ai sensi dell’art. 293 del D.lgs. 81/2008, ad una revisione delle valutazioni del rischio fatte, anche se aggiornate all’ultima edizione (la seconda) della CEI EN 62305”.

E si osserva che con l’abrogazione della norma CEI 81-3 “il valore di NG (già Nt) è passato dall’essere un dato avente valenza normativa ad un dato senza alcuna valenza normativa; determinando, cosa non da poco, che la responsabilità dello stesso grava unicamente sul tecnico che lo assume”. E, come indicato in premessa, tale guida sarà sostituita dalla “norma armonizzata EN 62858:2015”.

Salute e sicurezza sul lavoro: l’abbigliamento protettivo può salvare la vita

Maggio 06, 2017 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Nel mondo milioni di persone mettono a rischio la propria salute sul luogo di lavoro. Secondo le stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ogni giorno nel mondo 6.000 persone muoiono a causa di infortuni o malattie professionali. Per focalizzare l’attenzione su questo tema, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha istituito la “Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro”, celebrata per la quindicesima volta il 28 aprile 2017.

La Legge sulla sicurezza del lavoro: una conquista

I pericoli sul luogo di lavoro sono molteplici: acidi, calore, fiamme e scintille, corrente elettrica, cariche statiche e sollecitazioni meccaniche. Ma anche lo stress psichico – scatenato dalla fretta o dalla paura di perdere il posto di lavoro – è un fattore di rischio che riveste sempre maggiore importanza. La tutela del lavoro in Italia ha radici piuttosto antiche: già a metà degli anni Cinquanta era stato introdotto un  “Corpus normativo precauzionale”, poi integrato nel tempo col D. Lgs. 626 del 1994 e sostituito definitivamente dal T.U. nr. 81 del 2009, tutte normative finalizzate alla tutela e al miglioramento della salute dei lavoratori.

Obbligo di legge: la valutazione dei rischi

Secondo la legge sulla sicurezza del lavoro, tutti i pericoli esistenti all’interno di un’azienda devono essere analizzati e documentati nella valutazione dei rischi. Per ogni rischio registrato devono essere indicate misure adeguate a ridurre o eliminare il rischio. Le misure sono suddivise in tre categorie:

  • misure di sicurezza tecniche (p. es. sportelli di protezione sui macchinari)
  • misure di sicurezza organizzative (p. es. formazione dei dipendenti)
  • misure individuali (p. es. abbigliamento protettivo)

L’approccio corretto in materia di abbigliamento protettivo

L’abbigliamento protettivo può tutelare la salute e persino salvare la vita. Per questo è assolutamente necessario che siano considerati  questi aspetti:

  • L’abbigliamento protettivo deve essere specificatamente progettato per i rischi presenti sul luogo di lavoro.
  • I dipendenti devono essere informati sul proprio abbigliamento protettivo e devono indossarlo/utilizzarlo in modo corretto.
  • L’abbigliamento protettivo deve essere lavato e conservato secondo la normativa vigente.
  • Qualsiasi modifica apportata all’abbigliamento protettivo deve essere eseguita in conformità alla normativa vigente.

Dove si può trovare assistenza?

Dato che il tema “abbigliamento protettivo” è molto complesso e dispendioso, è consigliabile ricorrere all’assistenza di consulenti, come i tecnici per la sicurezza sul luogo di lavoro o gli esperti in prevenzione delle associazioni di categoria. I fornitori di servizi tessili aiutano nella scelta e nella cura dell’abbigliamento protettivo adatto. “Offriamo consulenza e test di prova per indossare i capi prima dell’utilizzo”, spiega Silvia Mertens, ingegnere specializzato in abbigliamento tecnico e consulente tecnico per l’abbigliamento protettivo presso Mewa, fornitore di servizi tessili di Wiesbaden. “Con il nostro sistema di servizi– lavaggio, manutenzione e sostituzione dell’abbigliamento protettivo –  aiutiamo a garantire la conformità alle norme UE e DIN, per la protezione dei dipendenti e lo snellimento delle procedure aziendali”.

SICUREZZA SUL LAVORO: PRINCIPIO DI AUTORESPONSABILITÀ E COMPORTAMENTO ABNORME DEL LAVORATORE

Maggio 06, 2017 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Grande dinamismo dimostra avere in questo periodo la giurisprudenza riguardante gli infortuni sul lavoro, con particolare riguardo al comportamento definito “abnorme” del lavoratore. E’ infatti da segnalare che, se da una parte è sempre onere fondamentale gravante sul datore di lavoro quello di formare ed informare il proprio dipendente circa i rischi connessi all’attività lavorativa da svolgere, di fondamentale importanza sta diventando anche il ruolo di quest’ultimo, sempre più parte attiva della realtà lavorativa aziendale, come soggetto titolare di un diritto alla sicurezza, ma anche di un dovere al rispetto della medesima ed alle tutele ivi preposte a garanzia della sua persona.

Davanti ad una contestazione mossa dall’autorità giudiziaria circa la violazione dell’art. 590 c.p., aggravata dal mancato rispetto della normativa concernente la sicurezza sul lavoro, nella valutazione circa i profili di responsabilità datoriale sotto il profilo dell’elemento oggettivo, possono essere formulate diverse osservazioni, soprattutto nel momento in cui vi sia stata una corretta formazione erogata dal datore di lavoro ai propri dipendenti. La nuova ottica dettata dalla giurisprudenza di legittimità più recente impone quindi di valutare diversi profili, considerando non solo l’onere del datore di lavoro di formare i dipendenti, ma anche la conoscenza e consapevolezza degli stessi delle corrette regole di sicurezza, considerando imprevedibile il comportamento del lavoratore che volontariamente violi tali misure di sicurezza predisposte, andando quindi a scindere il nesso causale necessario alla configurazione del reato contestato.

Perché si possa correttamente attribuire un fatto di reato ad un soggetto, è necessario che la valutazione dell’antefatto e dell’evento siano connesse da un rapporto causale, ovvero che l’antefatto sia l’antecedente necessario o altamente probabile dell’accadimento penalmente rilevante ovvero che, attraverso un giudizio ipotetico controfattuale, eliminando l’antecedente causale l’evento non si sarebbe realizzato con certezza o alto grado di probabilità. Va detto comunque che, qualora ci si trovi di fronte ad una contestazione al datore di lavoro circa un comportamento omissivo riguardo la mancata attuazione delle norme di garanzia, non risulta possibile poter affermare con ragionevole grado di probabilità che nel caso di attivazione del DL o suo delegato in applicazione delle norme di prevenzione asseritamente violate, l’infortunio non si sarebbe realizzato, dal momento che l’eventuale azione anomala del lavoratore si è posta come elemento destabilizzante sotto il profilo causale, assolutamente non prevedibile né, come sostiene la più recente giurisprudenza, “prevenibile” dall’imputato-datore di lavoro.

Venendo ora al dibattito giurisprudenziale creatosi in materia risulta opportuno sottolineare quanto segue.

Un primo orientamento, ormai da considerarsi pressoché superato, escludeva che il comportamento del lavoratore infortunato potesse integrare comportamento abnorme o comunque tale da scindere il legame causale quando questo, sebbene caratterizzato da imprudenza o negligenza, rientrasse nelle mansioni che gli erano proprie.

Più di recente la stessa Cassazione, seguendo talune lungimiranti pronunce di merito, è approdata ad una diversa visione, di certo più consona alla struttura stessa del sistema delineato dal T.U. 81/08, basata comunque sul principio dell’autoresponsabilità di tutti i soggetti della sicurezza. In quest’ottica si ricorda la recentissima Cass. Pen. IV, 10/02/2016 n° 8883 che afferma “in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro che, dopo avere effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, ha fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore”. Inoltre la Cass. Pen., Sez. IV, sent. 7.09.2015 n° 36040 che parla di “condotta imprevedibilmente colposa” del lavoratore sottolinea: “il sistema della normativa antinfortunistica, si è lentamente trasformato da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro …, ad un modello “collaborativo” in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, normativamente affermato dal Testo Unico della sicurezza…si sono individuati i criteri che consentissero di stabilire se la condotta del lavoratore dovesse risultare appartenente o estranea al processo produttivo o alle mansioni di sua specifica competenza. Si è dunque affermato il concetto di comportamento “esorbitante”, diverso da quello “abnorme” del lavoratore. Il primo riguarda quelle condotte che fuoriescono dall’ambito delle mansioni, ordini, disposizioni impartiti dal datore di lavoro o di chi ne fa le veci, nell’ambito del contesto lavorativo, il secondo, quello, abnorme, … si riferisce a quelle condotte …. che nulla hanno a che vedere con l’attività svolta. La recente normativa (T.U. 2008/81) impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e comunque di agire con diligenza, prudenza e perizia.Le tendenze giurisprudenziali si dirigono anch’esse verso una maggiore considerazione della responsabilità dei lavoratori (cd. “principio di auto responsabilità del lavoratore”). In buona sostanza, si abbandona il criterio esterno delle mansioni e si sostituisce con il parametro della prevedibilità intesa come dominabilità umana del fattore causale”. Conseguentemente un datore di lavoro che ha correttamente curato manutenzione e formazione non può essere ritenuto responsabile di un comportamento non arginabile in quanto consapevole e volontariamente perseguito dal singolo. D’altra parte la giurisprudenza ormai pare consolidata nel riconoscere che “l’ipotesi tipica di comportamento “abnorme” è quella del lavoratore che violi “con consapevolezza” le cautele impostegli, ponendo in essere in tal modo una situazione di pericolo che il datore di lavoro non può prevedere e certamente non può evitare”(Cass. Pen., sez. feriale, sent. 12.08.2010 (dep. 26.08.2010) n° 32357) e che, di conseguenza, “nel campo della sicurezza del lavoro, può escludersi l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento del lavoratore….deve cioè considerarsi abnorme il comportamento che per la sua stranezza ed imprevedibilità si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni…” (Cass. Pen., IV, sentenza 26.01.2011 n° 2606).

Alla luce della giurisprudenza esaminata appare quindi visibile una tendenza innovativa della giurisprudenza di legittimità, ormai recepita anche da diversi Tribunali di merito, ove la figura del datore di lavoro appare ridimensionata nella sua essenza, non avendo più come in passato un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore tanto da poter affermare che, una volta che ha fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione, egli non potrà essere chiamato a rispondere dell’evento derivante da una condotta imprevedibilmente colposa del proprio dipendente

CELLULARE | Sentenze riconoscimento malattia professionale

Aprile 30, 2017 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Emesse le prime sentenze dai tribunali del lavoro in cui viene stabilita la correlazione tra l’uso intenso del cellulare sul lavoro e l’insorgere di una malattia professionale. Le succitate sentenze sono le seguenti: 1) Tribunale di Ivrea, sezione Lavoro, con sentenza n. 96/2017 pubblicata il 30/03/2017 RG n. 452/2015; 2) Tribunale di Firenze, Sezione Lavoro, sentenza del 21.04.2017 (condanna in primo grado l’Inail a corrispondere una rendita da malattia professionale a un addetto alle vendite che per motivi di lavoro ha trascorso, per oltre 10 anni, 2-3 ore al giorno al telefono).

Ricorso al medico competente: l’idoneità al lavoro è un diritto

Aprile 14, 2017 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Il medico competente esprime un giudizio sull’idoneità al lavoro di ogni lavoratore, tuttavia, il dipendente può fare ricorso avverso al suo giudizio, secondo quando previsto dal Testo Unico sulla Sicurezza nei luoghi di lavoro.

La Legge 81/2008 ha sancito nuove tutele per la sorveglianza sanitaria di tutti i lavorati e grazie all’Art. 41 è previsto che si possa fare ricorso contro il giudizio del medico competente, quando esso sia oggettivamente in contrasto con lo stato attuale di salute.

Lo stato di salute del lavoratore viene determinato tramite visita medica, con annessi esami ed analisi di laboratorio specifici e idonei al tipo di mansione svolta secondo il protocollo sanitario vigente. Ciò non toglie che possano esserci errori di valutazione.

Vediamo quali sono i passaggi per fare ricorso avverso al giudizio del medico e qual è il diritto sull’argomento.

Idoneità al lavoro e il ruolo del medico competente

Il medico competente attesta l’idoneità al lavoro del lavoratore, emettendo un giudizio univoco attraverso analisi strumentali, nonché una visita medica specifica a seconda della specifica mansione svolta dallo stesso.

L’idoneità al lavoro secondo il giudizio del medico competente potrà essere concessa parzialmente, quindi con limitazioni, oppure negata. Secondo l’attuale normativa, l’attestazione scritta è obbligatoria solo in caso esito negativo, poiché in caso positivo sarà sufficiente una dichiarazione orale.

La mancata idoneità preclude al dipendente la possibilità di svolgere la mansione per cui è stato assunto, ma d’altra parte non esclude che l’azienda possa cambiare la sua destinazione occupazionale, magari affidandolo ad altro reparto.

Il datore di lavoro, tuttavia, non è obbligato al reimpiego e in caso di impossibilità di modifica potrà non confermare il lavoratore non idoneo, agendo comunque nel rispetto della legge. Ad ogni modo, è pieno diritto del lavoratore presentare ricorso avverso al giudizio del medico.

Come fare ricorso avverso al giudizio del medico

Secondo l’Articolo 41 del già citato del Testo Unico sulla Sicurezza il lavoratore può fare ricorso avverso al giudizio del medico competente entro 30 giorni dalla negazione dell’idoneità al lavoro, qualora lo stato di salute non corrisponda a quanto dichiarato.

La sorveglianza sanitaria prevede che il medico competente si esprima su risultati di esami strumentali oltre che sulle visite mediche effettuate, garantendo così una oggettività del giudizio, ma ciò non impedisce alla Asl di competenza di accettare la revisione del parere.

Il ricorso è un diritto inviolabile del lavoratore e la legge ne tutela ogni aspetto: basterà che il lavoratore compili un modulo di richiesta di revisione e che lo invii via PEC, raccomandata o con consegna a mano direttamente alla Asl competente, senza temere ritorsioni, né pagando alcunché

Infortuni e sicurezza sul lavoro: arrivano i nuovi reati di omicidio e lesioni

Marzo 15, 2017 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Omicidio sul lavoro e lesioni personali sul lavoro gravi o gravissime: questi sono i due nuovi reati di cui si è proposta l’introduzione nel Codice Penale al Senato. Si tratta del disegno di legge presentato al Senato da Giovanni Barozzino (S-Sel) con la finalità di introdurre una “punizione più severa nei confronti di chi sul lavoro cagiona la morte di vittime innocenti, per distrazione, disinteresse, o peggio per un’assoluta non curanza delle normative sul lavoro”. È chiaro il principio a cui fa riferimento il primo firmatario del disegno: in una Repubblica democratica fondata sul lavoro, non è possibile che si muoia sul proprio posto di lavoro.

La proposta è scaturita da un dato allarmante. Secondo l’osservatorio indipendente di Bologna sugli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, infatti, ammontano a 641 le morti sul lavoro nel 2016 che arrivano fino a 1.400 se si considerano quelle avvenute sulle strade e in itinere.
A pagare il prezzo più alto è il settore agricolo, con il 31% di tutte le morti per infortuni sui luoghi di lavoro (di cui ben il 65% provocate dal trattore) e in subordine l’edilizia con il 19,6%. L’autotrasporto, con il 9,3% dei morti, è la terza categoria con più vittime, seguita a ruota dall’industria (8,2%).
Manca all’appello un’altra consistente fetta di lavoratori: quelli a partita Iva e i lavoratori in nero.

DDL Sicurezza sul Lavoro: cosa prevede

Pur riconoscendo l’importanza che il Legislatore ha conferito alla tematica, già con l’inasprimento delle pene nell’ambito della legge n. 125/2008 rubricata “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”, il firmatario ritiene comunque insufficiente la disciplina vigente.

Omicidio sul lavoro 589-quater c.p.: il nuovo reato

Vediamo dunque come si profilerebbe il nuovo reato di omicidio sul lavoro. L’articolo 589-quater c.p. attribuirebbe rilevanza penale ad una serie di condotte, graduate in base al grado di colpa e violazioni in tema di sicurezza. Queste sono:

  • violazione delle norme sugli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali (per cui è prevista la pena della reclusione dai 2 ai 7 anni);
  • omessa valutazione dei rischi e alla nomina di un responsabile sicurezza e prevenzione da parte del datore di lavoro. In questo caso, la pena prevista va dai 5 ai 10 anni, se la morte è causata per avere messo a disposizione del lavoratore strumenti non conformi alla normativa nazionale ed europea; sale invece all’intervallo compreso tra gli 8 e i 12 anni, nel caso in cui la morte del lavoratore sia provocata dalla violazione delle norme in materia di sostanze pericolose e agenti biologici.
  • Aver causato la morte di una o più persone, per cui la pena arriva fino a 18 anni di reclusione.

Lesioni sul lavoro 590-quater c.p.: il nuovo reato

Il secondo reato da introdursi, secondo i fautori del disegno di legge è quello di “Lesioni personali sul lavoro gravi o gravissime” ex art. 590 quater c.p.
In particolare, il datore di lavoro che cagioni per colpa a un lavoratore una lesione personale con violazione delle norme sugli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali è punito con la reclusione da 3 mesi a 1 anno se gravi, da 1 a 3 anni se gravissime.

Anche in questo caso, la responsabilità penale risulta aggravata nei seguenti casi:

  • qualora il datore di lavoro non abbia adempiuto agli obblighi derivanti dalla normativa sulla sicurezza sul lavoro (la reclusione va diventa da 3 a 5 anni per le lesioni gravi e da 4 a 7 per quelle gravissime);
  • In caso di dotazione di strumenti di lavoro non conformi, la pena della reclusione sale da 1 anno e mezzo a 3 anni per le lesioni gravi e da 2 a 4 per quelle gravissime.
  • Se vengano lesionate più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, non superiore agli anni 7.

SICUREZZA SUL LAVORO: ECCO GLI OBBLIGHI PER GLI IMPRENDITORI

Febbraio 26, 2017 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

SICUREZZA SUL LAVORO: OBBLIGHI PER GLI IMPRENDITORI

Nonostante la normativa che regolamenta la Sicurezza sul Lavoro sia in vigore da molti anni, riscontriamo ancora che molte attività non hanno provveduto a regolarizzarsi e sono pertanto a rischio sanzioni.
Riteniamo utile quindi riassumere brevemente i principali obblighi:

DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI (DVR): obbligatorio per tutte le attività con dipendenti e/o equiparati (per es. soci lavoratori). Il documento deve essere in forma scritta e provvisto di data certa.

RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE (RSPP): può essere il datore di lavoro previa frequenza all’apposito corso (della durata di 16 ore per le attività a basso rischio) che va aggiornato ogni 5 anni.

ADDETTI AL PRIMO SOCCORSO: devono essere nominati e frequentare un corso della durata di 12 ore con aggiornamento triennale.

ADDETTI ALLA PREVENZIONE INCENDI: devono essere nominati e frequentare un corso la cui durata dipende dal livello di rischio incendio (normalmente per le nostre attività si tratta di corsi a basso rischio di 4 ore oppure a medio rischio di 8 ore). Si consiglia di aggiornare la formazione con la stessa periodicità del primo soccorso (triennale)

FORMAZIONE LAVORATORI-PREPOSTI-DIRIGENTI: tutti i lavoratori devono ricevere una formazione generale e specifica la cui durata dipende dalla classificazione ATECO della ditta e dalla mansione svolta. La formazione va aggiornata ogni 5 anni

RAPPRESENTANTE DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA (RLS). Nel caso in cui sia stato eletto internamente all’azienda, deve essere formato mediante un corso della durata di 32 ore. Per le attività con oltre 15 dipendenti è previsto un aggiornamento annuale.

MEDICO COMPETENTE: va nominato quando ci sono mansioni soggette a sorveglianza sanitaria (magazzinieri, video terminalisti, ecc.).

E’ importante sottolineare che il DVR deve essere aggiornato con la situazione della ditta e riportare tutte le valutazioni specifiche previste.

Inoltre va posta particolare attenzione alla scadenza dei corsi e al loro aggiornamento.

Ricordiamo infine che ogni mancato adempimento è pesantemente sanzionato sia a livello penale che amministrativo. Ad esempio la mancata redazione del DVR prevede una sanzione da 2.500 a 6.400 €; la mancata formazione dei lavoratori da 1.200 a 5.200 €; la mancata nomina del medico competente da 1.500 a 6.000 €, ecc.

Sulla responsabilità per l’infortunio occorso a un lavoratore in nero

Gennaio 23, 2017 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Secondo il D. Lgs. 81/2008 è definito lavoratore e va tutelato chiunque ponga in essere una prestazione di lavoro in senso lato a prescindere dall’eventuale mancanza di un contratto e dalla episodicità della prestazione.

Si sofferma la Corte di Cassazione in questa sentenza sulla definizione di lavoratore ai fini dell’applicazione delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro e dell’obbligo della tutela della sua salute e sicurezza. Il lavoratore, infatti, secondo quanto indicato nell’articolo 2 comma 1 lettera a) del citato D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i., è colui che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito della organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, ha sostenuto la suprema Corte, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione. Ne deriva che il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire la sicurezza sul luogo di lavoro per tutti i soggetti che prestano la loro opera nell’impresa, senza distinguere tra lavoratori subordinati e persone estranee all’ambito territoriale.

 

Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in Cassazione

La Corte d’Appello ha confermata la condanna pronunciata dal locale Tribunale nei confronti del titolare di un’impresa individuale ritenuto responsabile dell’infortunio occorso ad un lavoratore, operaio in nero, il quale all’interno dello stabilimento dell’impresa stessa durante le operazioni di posa in opera di alcuni pannelli in policarbonato isolanti di ampie dimensioni da collocarsi sulla controsoffittatura degli uffici, fino a raggiungere il colmo del capannone, dopo essere salito su una scala a forbice, è precipitato al suolo da un’altezza di tre metri circa e si è schiantato sulla sottostante scrivania in cristallo, riportando gravissime lesioni ad un occhio e al massiccio facciale.

All’imputato è stata contestata sia una colpa generica sia la violazione di specifiche norme in materia di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, e precisamente: la mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi di cui all’art. 17 comma 1 lett. a) del D. Lgs. n. 81/2008, contenente l’individuazione delle procedure per l’esecuzione dei lavori in quota, la mancata richiesta ai lavoratori del rispetto delle norme di sicurezza (utilizzo di un trabattello e dei necessari dispositivi di protezione individuale) in violazione dell’art. 18 comma 1 lett. f) del D. Lgs. n.81/2008, il mancato controllo dell’osservanza di queste prescrizioni, il mancato adempimento, in favore della persona offesa, degli obblighi di informazione e di formazione sui rischi specifici cui ciascun lavoratore era esposto in ragione dell’attività svolta, e sulle conseguenti misure di prevenzione e protezione (artt. 36 e 37 del D. Lgs. n. 81/2008 oltre a una negligenza, ricavabile dall’art.2087 c.c., consistita nella mancata adozione, nell’esercizio dell’impresa, delle misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori anche occasionali, e, nello specifico, delle tecniche necessarie a ridurre al minimo i rischi connessi all’esecuzione dei lavori in quota.

La Corte di Appello ha quindi deciso che le modalità di svolgimento del lavoro erano state di estrema pericolosità, che il datore di lavoro non aveva adottato alcuna misura di prevenzione idonea al tipo di lavorazione in quota, che nella condotta dell’infortunato non era ravvisabile un comportamento abnorme, che gli obblighi gravanti sull’imprenditore di predisporre le misure di protezione collettiva ed i dispositivi di protezione individuale avevano come destinatari non solo i lavoratori subordinati ma tutti i soggetti operanti nell’ambiente di lavoro, e dunque, nello specifico caso, anche l’infortunato che lavorava, senza un regolare contratto, come “tuttofare” e veniva chiamato secondo necessità.

L’imputato ha proposto ricorso, a mezzo del difensore di fiducia, lamentandosi, come motivazione principale, che la Corte territoriale, una volta esclusa l’esistenza di un lavoro subordinato, avrebbe dovuto accertare almeno l’esistenza di un lavoro autonomo, che comprendesse l’attività da cui era poi originato l’evento, mentre nel caso in esame allo stesso non era stato affidato alcun incarico di collaborare con gli altri operai nelle opere di manutenzione interna del capannone. Per tale ragione quindi, secondo il ricorrente, non era ravvisabile a suo carico alcun profilo di colpa poiché nel processo di causazione dell’evento lesivo si era inserita, come causa estranea, la condotta dello stesso infortunato, esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute.

 

Le decisioni della Corte di Cassazione

1. Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione. “Le norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro”, ha sostenuto la stessa, “si applicano a chiunque ponga in essere una prestazione lavorativa in senso lato, anche occasionale o senza retribuzione ovvero per imparare un mestiere, sicché la tutela, oltre a riguardare i lavoratori subordinati, si estende a tutte le persone che vengano a trovarsi in situazioni di pericolo connesse all’attività esercitata, a prescindere dall’eventuale mancato perfezionamento di un contratto e dall’episodicità della prestazione”. Ciò, ha quindi precisato la suprema Corte, “in base all’art. 2, comma 1, lett. a) del D. Lgs. n. 81/2008, che definisce ‘lavoratore’ colui che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione” per cui, di conseguenza, il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire la sicurezza sul luogo di lavoro per tutti i soggetti che prestano la loro opera nell’impresa, senza distinguere tra lavoratori subordinati e persone estranee all’ambito imprenditoriale.

A tale principio di diritto, ha quindi proseguito la Sez. IV,  si sono uniformati i giudici del merito i quali, nella ricostruzione hanno ben evidenziato che al momento dell’infortunio l’infortunato stava lavorando con altri operai al montaggio di una controsoffittatura, in una situazione di totale pericolo dovuta alla assenza di misure di protezione e dotazioni di sicurezza idonee a prevenire le cadute dall’alto, e senza aver ricevuto una formazione e informazione in merito ai rischi specifici connessi al genere di attività che ha occasionato il sinistro, ignorando perfino la natura non portante del controsoffitto, il cui sfondamento per il peso esercitato ha originato la caduta sulla sottostante scrivania.

Sono state pertanto ritenute corrette le argomentazioni svolte dalla Corte di Appello a sostegno della pronuncia di condanna del datore di lavoro, responsabile di tutte le violazioni delle norme antinfortunistiche indicate nell’imputazione, peraltro non contestate nel ricorso. Le condotte omissive accertate hanno quindi spiegato efficacia causale nella determinazione dell’evento lesivo, evento che, con alta probabilità logica, non si sarebbe verificato in caso di rispetto nelle norme cautelari. Nessuna iniziativa, altresì, era stata assunta dall’imputato per controllare che i lavori all’interno del capannone in ristrutturazione venissero eseguiti in sicurezza con l’osservanza delle regole di cautela, in maniera da neutralizzare anche eventuali comportamenti imprudenti degli operai.

La sentenza impugnata è stata del pari ritenuta immune da censure laddove ha affermato, da un lato, che un’eventuale consapevolezza del lavoratore infortunato della complessiva inadeguatezza del cantiere allestito all’interno del capannone non valeva ad elidere la responsabilità dell’imputato, e, dall’altro, che se il datore di lavoro si fosse conformato alle regole di cautela e avesse preso in doverosa considerazione, stante la sua posizione di garanzia, anche un eventuale comportamento inadeguato del lavoratore, l’infortunio non si sarebbe verificato.

 

Il rispetto delle norme prevenzionali infatti”, ha così concluso la Corte di Cassazione che ha quindi rigettato il ricorso e confermata la condanna dell’imputato, “ha lo scopo di ridurre al minimo il rischio di incidenti che è fisiologico possano avere alla base l’errore dell’operatore, generato anche da imprudenza. Proprio al fine di scongiurare tali eventi nefasti, evitabili rispettando gli standard di sicurezza imposti dalla legge, vi sono soggetti chiamati al ruolo di garanzia in favore degli operatori esposti al rischio antinfortunistico: essi non possono pretendere esonero di responsabilità in caso di condotta inadeguata del lavoratore, fatto salvo il contegno abnorme, che si configura in caso di comportamento anomalo, assolutamente estraneo alle mansioni attribuite, esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere”.