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D.Lgs. 149/2015: cosa cambia in materia ispettiva?

Ottobre 26, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

ispezione-vigilanza

Quali sono le novità di uno dei decreti attuativi del Jobs Act, il D.Lgs. 149/2015, per le ispezioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro? Il nuovo ispettorato nazionale del lavoro e i tempi necessari alla sua organizzazione.

Gli ultimi quattro decreti legislativi in attuazione del “ Jobs Act”, la  legge 10 dicembre 2014, n. 183 – recante le “Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro” – sono entrati in vigore il giorno successivo a quello della loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, cioè il 24 settembre 2015.
Uno di questi decreti riguarda in particolare l’attività ispettiva.
Si tratta del  Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 149 “Disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”.
La prima cosa che dobbiamo domandarci è se dal 24 settembre sono cambiati i termini e risolte le criticità delle ispezioni in Italia… Cosa realmente avvenuto e che cosa avverrà?
Innanzitutto, siamo chiari, al di là dei titoli dei decreti, al di là del più volte utilizzato termine diAgenzia unica delle ispezioni del lavoro, che Massimo Peca indicava nei mesi passati come qualcosa che “ si può fare, si deve fare”, non solo per le ispezioni in materia di salute e sicurezza non ci saranno sensibili cambiamenti, ma in realtà di “agenzia unica” (le ASL continueranno a mantenere le proprie competenze) non si può ancora parlare…
Come ricordava ai nostri microfoni il Dott. Giuseppe Piegari, del Segretariato Generale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con l’emanazione di questo decreto abbiamo la nascita dell’ispettorato nazionale, un’agenzia che assume il nome di Ispettorato nazionale del lavoro. E le finalità sono relative alla razionalizzazione e semplificazione dell’attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale. Tuttavia “per quanto riguarda la materia salute e sicurezza in realtà non avremo modifiche: al momento questo ispettorato nazionale del lavoro eserciterà le attività ispettive già esercitate dal Ministero del Lavoro, dall’Inps e dall’Inail. Nell’ispettorato nazionale del lavoro confluiranno quelle che sono oggi le competenze del Ministero del Lavoro in materia di vigilanza nei luoghi di lavoro su salute e sicurezza oggi definite nell’articolo 13 del D.Lgs. 81/2008”.
Ricordiamo a questo proposito le competenze in materia di salute e sicurezza del personale ispettivo del Ministero del Lavoro come indicate dall’articolo 13, comma 2, del D.Lgs. 81/2008:
Articolo 13 – Vigilanza
(…)
2. Ferme restando le competenze in materia di vigilanza attribuite dalla legislazione vigente al personale ispettivo del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, ivi compresa quella in materia di salute e sicurezza dei lavoratori di cui all’articolo 35 della legge 26 aprile 1974, n. 191, lo stesso personale esercita l’attività di vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro nelle seguenti attività, nel quadro del coordinamento territoriale di cui all’articolo 7: a) attività nel settore delle costruzioni edili o di genio civile e più in particolare lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione e risanamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura e in cemento armato, opere stradali, ferroviarie, idrauliche, scavi, montaggio e smontaggio di elementi prefabbricati; lavori in sotterraneo e gallerie, anche comportanti l’impiego di esplosivi; b) lavori mediante cassoni in aria compressa e lavori subacquei; c) ulteriori attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati, individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, e, adottato sentito il comitato di cui all’articolo 5 e previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, in relazione alle quali il personale ispettivo del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali svolge attività di vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, informandone preventivamente il servizio di prevenzione e sicurezza dell’Azienda Sanitaria Locale competente per territorio.
(…)
Dunque nessun cambiamento, ad oggi, per la vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro svolta invece dalle Aziende Sanitarie Locali. Sottolineerei, tuttavia, “ad oggi”, perché come dice Piegari stesso “è evidente che la nascita di questo ispettorato nazionale del lavoro è un primo possibile passo verso una modifica più ampia che potrà vedere forse, nel futuro, collocate in un unico soggetto, nell’ispettorato nazionale, tutte le funzioni di vigilanza anche in materia di salute e sicurezza”.
Un primo passo che passa chiaramente attraverso le conseguenze della riforma costituzionalesulle competenze Stato/Regioni in materia di sicurezza sul lavoro, riforma che è stata appena approvata al Senato e che dovrà andare alla Camera per l’ultima lettura definitiva e per il probabile referendum consultivo previsto dal Governo (con tempi che non potranno essere brevi).
Dopo aver presentato alcune bozze del testo non ancora pubblicato in Gazzetta, ci soffermiamo ora sul testo definitivo del D.Lgs. 149/2015, ad esempio per quanto riguarda l’articolo 1 che fa riferimento al nuovo “Ispettorato nazionale del lavoro” che integra i servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell’INPS e dell’INAIL. L’Ispettorato viene istitutoal fine di razionalizzare e semplificare l’attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale, nonché al fine di evitare la sovrapposizione di interventi ispettivi.
E l’Ispettorato svolgerà le attività ispettive “già esercitate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dall’INPS e dall’INAIL”.
Dunque il 24 settembre 2015 è nato il nuovo “Ispettorato nazionale del lavoro”?
Beh, anche sui tempi serve un po’ di chiarezza…
Se infatti andiamo a leggere i vari articoli del D.Lgs. 149/2015 troviamo l’articolo 5(Organizzazione e funzionamento dell’Ispettorato) che indica che “con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e il Ministro della difesa, da adottarsi entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, sono disciplinate, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, l’organizzazione delle risorse umane e strumentali per il funzionamento dell’Ispettorato e la contabilità finanziaria ed economico patrimoniale relativa alla sua gestione”. Inoltre l’articolo 2 indica a sua volta che “entro quarantacinque giorni dall’entrata in vigore del presente decreto è adottato, con decreto del Presidente della Repubblica ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, lo statuto dell’Ispettorato, in conformità ai principi e ai criteri direttivi stabiliti dall’articolo 8, comma 4, del decreto legislativo n. 300 del 1999, ivi compresa la definizione, tramite convenzione da stipularsi tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il direttore dell’Ispettorato, degli obiettivi specificamente attribuiti a quest’ultimo”.
In poche parole saranno questi decreti attuativi a dare il via effettivo al nuovo “Ispettorato nazionale del lavoro” e con quale tempi è difficile dirlo visto l’italica brutta abitudine di rispettare poco le scadenze che la normativa esprime invece in modo chiaro…
Per concludere questo articolo, che vuole mantenere alta l’attenzione sulle novità presenti e future in materia di attività ispettiva, riportiamo, sempre dall’articolo 2 del decreto, lefunzioni e attribuzioni assegnate all’Ispettorato:
a) “esercita e coordina su tutto il territorio nazionale, sulla base di direttive emanate dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, la vigilanza in materia di lavoro,  contribuzione  e assicurazione obbligatoria nonché legislazione sociale, ivi compresa la vigilanza in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, nei limiti delle competenze già attribuite al personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e gli accertamenti in materia di riconoscimento del diritto a prestazioni per infortuni su lavoro e malattie professionali, della esposizione al rischio nelle malattie professionali, delle caratteristiche dei vari cicli produttivi ai fini della applicazione della tariffa dei premi;
b) emana circolari interpretative in materia  ispettiva  e sanzionatoria, previo parere conforme del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonchè direttive operative rivolte al personale ispettivo;
c) propone, sulla base di direttive del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, gli obiettivi quantitativi e qualitativi delle verifiche ed effettua il monitoraggio sulla loro realizzazione;
d) cura la formazione e l’aggiornamento del personale ispettivo, ivi compreso quello di INPS e INAIL;
e) svolge le attività di prevenzione e promozione  della legalità presso enti, datori di lavoro e associazioni finalizzate al contrasto del lavoro sommerso e irregolare ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124;
f) esercita e coordina le attività di vigilanza sui rapporti di lavoro nel settore dei trasporti su strada, i controlli previsti dalle norme di recepimento delle direttive di prodotto e cura la gestione delle vigilanze  speciali  effettuate  sul  territorio nazionale;
g) svolge attività di studio e analisi relative ai fenomeni del lavoro sommerso e irregolare e alla mappatura dei rischi, al fine di orientare l’attività di vigilanza;
h) gestisce le risorse assegnate ai sensi dell’articolo 8, anche al fine di garantire l’uniformità dell’attività di vigilanza, delle competenze professionali e delle dotazioni strumentali in uso al personale ispettivo;
i) svolge ogni ulteriore attività, connessa allo svolgimento delle funzioni ispettive, ad esso demandata dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali;
l) riferisce al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, all’INPS e all’INAIL ogni informazione utile alla programmazione e allo svolgimento delle attività istituzionali  delle  predette amministrazioni;
m) ferme restando le rispettive competenze, si coordina con i servizi ispettivi delle aziende sanitarie locali e delle agenzie regionali per la protezione ambientale al fine di  assicurare l’uniformità di comportamento ed una maggiore efficacia degli accertamenti ispettivi, evitando la sovrapposizione degli interventi”.
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[Tratto da: Punto Sicuro ]

Sul nuovo Ispettorato nazionale del lavoro, chiarimenti del Ministero

Ottobre 23, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

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Il 24 settembre la Rubrica, ha informato che il DLgs 149/2015, decreto attuativo del Jobs Act, ha istituito l’Ispettorato nazionale del lavoro, e che lo stesso decreto è entrato in vigore il 24 settembre, il giorno successivo alla sua pubblicazione sulla GU.

In più parti del provvedimento governativo si ribadisce che l’efficacia delle disposizioni in esso contenute è rinviata alla piena operatività del nuovo assetto istituzionale, e cioè dopo l’adozione dei decreti attuativiche definiscono funzioni ed attribuzioni che attualmente sono esercitate dal Ministero del Lavoro attraverso le proprie articolazioni territoriali.

A tale proposito, lo stesso Ministero, con la nota del 7 ottobre, n. 16576, ha chiarito che l’art. 9 del DLgs 149/2015 (regola la rappresentanza in giudizio del nuovo ispettorato nazionale), “non può, allo stato, dispiegare alcun effetto, riferendosi ad un soggetto che ancora non opera effettivamente”.

Per cui “eventuali contenziosi non potranno che essere instaurati nei confronti delle articolazioni territoriali del Ministero del lavoro che hanno adottato gli atti impugnati”. Saranno essi ancora a operare fino alla loro soppressione, a far luogo cioè dalla data indicata nei futuri decreti attuativi.

Nell’attesa, quindi, l’attività del contenzioso resta regolata dal combinato disposto dell’art. 6 del DLgs 150/2011* e dell’art. 22 della L. 689/1981** che limita la competenza delle strutture ministeriali alla rappresentanza nel primo grado di giudizio.

La difesa nei gradi di giudizio successivi, conclude la circolare ministeriale continuerà a essere curata esclusivamente dall’Avvocatura dello Stato, anche, in relazione alla promozione dell’impugnativa contro le sentenze di soccombenza di primo grado rese nei confronti del Ministero del Lavoro.

* Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione…
** La legge modifica il sistema penale. È stata aggiornata con il DL 91/2014, convertito dalla L. 116/2014.

Info: Ministero Lavoro, nota 16576 ispettorato nazionale del lavoro

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[Tratto da Quotidiano Sicurezza ]

Inail, un nuovo avviso pubblico per progetti di prevenzione per la sicurezza sul lavoro

Ottobre 23, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

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Criteri e modalità per la realizzazione di progetti finalizzati allo sviluppo dell’azione prevenzionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro – Anno 2015. Pubblicato da Inail un avviso pubblico tramite il quale vengono stanzianti fondi per il finanziamento di progetti per la prevenzione per la sicurezza sul lavoro. Scadenza 30 novembre 2015.

Progetti in compartecipazione

L’avviso intende sostenere progetti prevenzionali in regime di compartecipazione che dovranno essere formalizzati attraverso accordi di collaborazione e che potranno coinvolgere enti e organismi pubblici e privati, enti locali, università, istituzioni scolastiche, enti non profit, associazioni di categoria e organizzazioni sindacali (tutti “preferibilmente non ricompresi tra quelli qualificati già individuati dall’art. 10 del D.Lgs. 81/2008 e s.m., per i quali non è indispensabile la previa manifestazione di interesse ai sensi del presente Avviso pubblico”).

Si tratta di un sostegno quindi si alla prevenzione che alla bilateralità. “Nella più ampia prospettiva della tutela integrata perseguita dall’Istituto – che ha trovato conferma nel dlgs. 81/2008, Testo unico per la sicurezza, e successive modificazioni intervenute – lo sviluppo di specifici accordi anche a livello nazionale viene considerato prioritario per garantire il coinvolgimento e la condivisione degli altri attori istituzionali e delle parti sociali e per svolgere appieno il ruolo di sostegno alla bilateralità”.

Interventi e finanziamenti

L’avviso ha stanzianto 3 milioni di euro attraverso i quali potranno essere finanziati interventi fino a 500 mila euro dei quali Inail coprirà al massimo il 50%.

Verranno privilegiati gli interventi destinati al Rappresentante dei lavoratori della sicurezza Rls e nei settori edilizia, agricoltura, aziende sanitarie ospedaliere.

Il bando indicato nel link in basso, riporta nel dettaglio le spese sostenibili o meno, i costi ammissibili o meno: possiamo per esempio anticipare che “non sono ammissibili le spese sostenute per l’acquisto di mobili, attrezzature, veicoli, infrastrutture, beni immobili e terreni”.

Scadenza

Termine ultimo per l’invio dei progetti sarà il 30 novembre 2015. I progetti vanno presentati via pec a questo indirizzo dcprevenzione@postacert.inail.it.

Info e bando: Inail avviso pubblico progetti prevenzione sicurezza lavoro 

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[Tratto da: Quitidiano Sicurezza ]

Rischio caduta: le misure di salvataggio e la gestione dell’emergenza

Ottobre 20, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Cattura

La valutazione del rischio caduta dalle coperture: quali sono le condizioni che consentono di prestare soccorso a chi, per effetto di una caduta, rimane in sospensione inerte sulla corda?

Pubblichiamo la scheda “Piano di emergenza/misure di salvataggio” tratta dal sito “www.coperturasicura.toscana.it” dove sono raccolti diversi materiali correlati al progetto della Regione Toscana – Assessorato del Diritto alla Salute, ASL10 Azienda Sanitaria Firenze – dedicato alla “ sicurezza nella manutenzione delle coperture”.

CR 08 – PIANO DI EMERGENZA/MISURE DI SALVATAGGIO
Ogni progettazione che preveda la redazione di un Elaborato Tecnico della Copertura deve contenere una valutazione del rischio che consenta di individuare le soluzioni tecniche in grado di ridurre il rischio di caduta nelle future manutenzioni.
Qualora si ammetta l’arresto caduta da una copertura è indispensabile valutare anche quali siano le condizioni che consentano di prestare soccorso a chi, per effetto di una caduta, rimane in sospensione inerte sulla corda.
In questo caso non devono essere sottovalutate le conseguenze dovute ad una sospensione inerte in condizioni di presumibile incoscienza, in quanto possibile causa di complicazioni che possono compromettere le funzioni vitali.
Tempi di sospensione inerte oltre 30 minuti sono inaccettabili perché possono portare a gravi malesseri a causa dell’azione dell’imbracatura.
Al tecnico è richiesto di valutare se le condizioni del contesto consentano un rapido intervento dei mezzi di soccorso entro 30 minuti e di indicarlo nell’ETC prescrivendo, laddove non sia realizzabile, l’obbligatorietà di un Piano di Emergenza da parte dei lavoratori e l’eventualità di disporre di sistemi ausiliari in grado di rappresentare un ancoraggio supplementare per il soccorritore che
Il Piano di Emergenza deve prevedere una procedura che preveda l’intervento di emergenza in aiuto dell’utilizzatore, rimasto sospeso al sistema di arresto caduta, che necessiti di assistenza o aiuto da parte di altri lavoratori.
Quindi, nel caso in cui nei lavori in quota si renda necessario l’uso di un sistema di arresto caduta che esponga il lavoratore al rischio di sospensione inerte oltre 30 minuti, all’interno dell’unità di lavoro deve essere prevista la presenza di lavoratori che posseggano una capacità operativa in grado di garantire autonomamente l’intervento di emergenza di soccorso all’utilizzatore sospeso al sistema di arresto caduta.
In tale casistica l’attuazione di adeguate Misure di Salvataggio risultano indispensabili per prestare un immediato soccorso.
L’attuazione di tali misure richiedono la presenza di almeno due operatori con adeguate competenze tecniche, formate ed addestrate che ben pochi operatori posseggono e pertanto è preferibile sempre avere una progettazione che preveda l’arresto caduta solo in quei contesti dove il soccorso possa avvenire in tempi sufficientemente contenuti per mezzo di servizi pubblici di soccorso (vigili del fuoco, ambulanza, …)
Caratteristiche
“Per sistema di salvataggio s’intende un sistema individuale per la protezione contro le cadute per mezzo del quale una persona può salvare se stessa o altri e che evita la caduta libera “ (UNI EN 363).
Comprende la procedura scelta e la relativa l’attrezzatura in dotazione al personale addetto al primo soccorso e gestione dell’emergenze, mediante le quali il soccorritore può salvare l’operatore in difficoltà e/o in pericolo di vita perché rimasto sospeso con l’imbracatura (sospensione cosciente o sospensione inerte) dopo una caduta dall’alto.
l sistema di salvataggio consente il recupero in sicurezza della persona in pericolo.
Durante l’operazione di salvataggio il sistema consente al soccorritore di raggiungere l’operatore rimasto sospeso ed evita la caduta libera sia della persona che viene soccorsa che del soccorritore stesso.
Permette di sollevare o di abbassare la persona soccorsa in un posto sicuro.
A seconda della posizione dell’operatore da soccorrere rispetto al “posto sicuro”, in cui si intende trasportarlo, il sistema di salvataggio si caratterizza in due tipologie diverse:
1.    Sistema di salvataggio con utilizzo di un dispositivo di discesa che consente di abbassare l’operatore da soccorrere. (Discesa insieme al soccorritore, o discesa indipendente con verricello manuale manovrato da terzo operatore).
2.    Sistema di salvataggio con utilizzo di un dispositivo di sollevamento che consente di sollevare l’operatore da soccorrere (sollevamento a mezzo di verricello con demoltiplicatore).
La prima tipologia d’intervento con discesa in basso dell’operatore soccorso è fortemente consigliata in caso di sospensione inerte dell’infortunato.
A seconda, invece, della posizione del soccorritore rispetto alla posizione dell’operatore da soccorrere il sistema di salvataggio si caratterizza in:
a)    Sistema di salvataggio con  utilizzo di un dispositivo di discesa che consente al soccorritore di raggiungere dall’alto l’operatore da soccorrere.
b)    Sistema di salvataggio con utilizzo di un dispositivo di risalita che consente al soccorritore di raggiungere dal basso l’operatore da soccorrere. (NB può richiedere tempi molto lunghi a seconda della distanza tra il soccorritore ed l’infortunato)
Gestione dell’emergenza
Deve essere predisposta, nell’ambito della valutazione dei rischi, una apposita procedura che preveda l’intervento di emergenza in aiuto dell’operatore sospeso sulle funi, che necessiti di soccorso, da parte degli altri lavoratori.
La squadra deve essere in grado di mettere in atto tecniche di soccorso su fune che consentono, mediante l’uso di appositi DPI di recuperare l’operatore caduto in condizioni di sicurezza avendo precedentemente provveduto ad individuare gli elementi strutturali in grado di consentire l’installazione di sistemi di ancoraggio per le funi di sicurezza e di emergenza.
Tra Le principali manovre di emergenza che possono essere attuate vi sono:
1.    ACCESSO DALL’ALTO CON USCITA VERSO IL BASSO:
a.    CON FUNE DI LAVORO FISSA E FUNE DI SICUREZZA FISSA
b.    CON FUNE DI LAVORO E FUNE DI SICUREZZA SCORREVOLI
Questa manovra permette ad un operatore di calarsi con una fune per raggiungere l’operatore caduto in stato di incoscienza o di consentire all’operatore caduto cosciente di ridiscendere fino al punto di uscita.
2.    ACCESSO DALL’ALTO CON USCITA VERSO L’ALTO:
a.    CON FUNE DI LAVORO FISSA E FUNE DI SICUREZZA FISSA
b.    CON FUNE DI LAVORO E FUNE DI SICUREZZA SCORREVOLI
In caso di impraticabilità dell’uscita dal basso questa manovra permette ad un operatore cosciente di uscire dall’alto o di calare un operatore che poi consente il recupero verso l’alto
3.    SISTEMA DI RECUPERO ASSISTITO CON PARANCO,UTILIZZANDO ATTREZZI MECCANICI IN FUNE SINGOLA Questa manovra permette all’assistente di recuperare verso l’alto un operatore. La manovra è effettuata da luogo sicuro. L’uso del paranco diminuisce lo sforzo necessario per il recupero
Deve essere predisposta inoltre un’apposita procedura di allertamento del soccorso pubblico. Tale allertamento deve avvenire nel momento in cui viene inequivocabilmente appurata una situazione di emergenza o un incidente, e non all’insorgere di eventuali successive difficoltà.
Criticità
La corretta sistemazione di ancoraggi (ancoraggi raddoppiati o triplicati per ogni sistema) è una delle fasi più importanti di ogni operazione di soccorso, da cui dipende la sicurezza dei soccorritori e delle persone soccorse.
L’uso appropriato dei DPI e delle procedure per prestare soccorso assieme ad un efficace e pianificato coordinamento degli operatori consente di prestare soccorso a chi sia accidentalmente in sospensione su una corda per effetto di una caduta e di non esporre il soccorritore ad un ulteriore pericolo.
Soltanto la formazione e l’addestramento consentono di intervenire efficacemente limitando i rischi e di predisporre un piano di salvataggio.
Trattandosi quasi sempre di tecniche e procedure complesse che necessitano di addestramento risulta spesso necessaria una formazione per lavori in quota
La formazione normalmente è a tre livelli, ogni livello prevede un corso che termina con un esame.
1.    Livello 1 / L1: Lavoratori
Il corso base per i partecipanti che non hanno esperienza lavorativa, insegna l’essenziale in riferimento all’uso delle funi, normativa, materiali, norme tecniche e salvataggio in discesa.
2.    Livello 2 / L2: Capisquadra
Per accedere al corso bisogna aver superato l’esame del corso di 1 livello. Tecniche di lavoro ed accesso più complesse (p. e. realizzazione di sistemi di fune orizzontali, come spostarsi da un sistema a un sistema differente). Come installare un sistema, cenni sui flussi delle forze e tecniche di ancoraggio, salvataggio in ambo le direzioni, ecc.
3.    Livello 3 / L3: Preposti
Per accedere al corso bisogna aver superato l’esame del corso di 2 livello.
Il corso fornisce ulteriori informazioni relative alla pianificazione di sistemi, dirigere progetti, flussi delle forze, valutazione delle condizioni operative e dei rischi presenti sul luogo di lavoro
Per mettere in atto tali procedure è necessario disporre di squadre altamente specializzate non facilmente reperibili per i lavori di manutenzione su comuni coperture, pertanto è sempre preferibile che sia attentamente valutata la possibilità di arresto caduta e limitata a quei casi dove l’intervento dei servizi pubblici di soccorso può avvenire in tempi molto brevi.
[Tratto da: Punto Sicuro ]

Novità per il datore di lavoro sulla sicurezza lavoro dal DLgs 151/2015

Ottobre 16, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

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Il Jobs Act prevede una serie di decreti attuativi che servono a rendere effettive le modifiche al riforma del diritto del lavoro in Italia. Il più recente è il DLgs 151/2015 (Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità) entrato in vigore dal 24 settembre 2015. Fra le varie disposizioni del decreto riguardanti la razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti e revisione del regime delle sanzioni e le disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità ce ne sono alcune che riguardano il DLgs 81/08 – Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro.

Nello specifico l’art. 20 del DLgs 151/2015 modifica l’art. 34 del DLgs 81/08 nel quale viene abrogato il comma 1-bis e modificato il comma 2-bis, perciò il nuovo articolo 34 è il seguente:

1 . Salvo che nei casi di cui all’articolo 31, comma 6, il datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, di primo soccorso, nonché di prevenzione incendi e di evacuazione, nelle ipotesi previste nell’ALLEGATO II dandone preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ed alle condizioni di cui ai commi successivi.

1-bis. Comma abrogato dall’art. 20, comma 1, lett. g), d.lgs. 14 settembre 2015, n. 151 (G.U. n. 221 del 23/09/2015 – S.O. n. 53), in vigore dal 24/09/2015);

  1. Il datore di lavoro che intende svolgere i compiti di cui al comma 1, deve frequentare corsi di formazione, di durata minima di 16 ore e massima di 48 ore, adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative, nel rispetto dei contenuti e delle articolazioni definiti mediante Accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, entro il termine di dodici mesi dall’entrata in vigore del presente decreto legislativo. Fino alla pubblicazione dell’Accordo di cui al periodo precedente, conserva validità la formazione effettuata ai sensi dell’articolo 3 del decreto ministeriale 16 gennaio 1997, il cui contenuto è riconosciuto dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano in sede di definizione dell’Accordo di cui al periodo precedente.

2-bis. Il datore di lavoro che svolge direttamente i compiti di primo soccorso nonché di prevenzione incendi e di evacuazione deve frequentare gli specifici corsi formazione previsti agli articoli 45 e 46. 49

  1. Il datore di lavoro che svolge i compiti di cui al comma 1 è altresì tenuto a frequentare corsi di aggiornamento nel rispetto di quanto previsto nell’Accordo di cui al precedente comma50. L’obbligo di cui al precedente periodo si applica anche a coloro che abbiano frequentato i corsi di cui all’articolo 3 del decreto ministeriale 16 gennaio 1997(N) e agli esonerati dalla frequenza dei corsi, ai sensi dell’articolo 95 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626(N) .

Tali modifiche comportano un cambiamento rilevante nell’assetto della sicurezza sul lavoro in azienda. Finora il datore di lavoro poteva svolgere i compiti dell’addetto del primo soccorso e antincendio solo in aziende che avevano fino a 5 lavoratori, ora invece potrà ricoprire tali ruoli in tutti i casi previsti dalla legge per il ruolo di RSPP, ovvero:

  • Aziende artigiane e industriali fino a 30 lavoratori
  • Aziende agricole e zootecniche fino a 30 lavoratori
  • Aziende della pesca fino a 20 lavoratori
  • Altre aziende fino a 200 lavoratori

In tal caso il datore di lavoro è tenuto a frequentare il corso di formazione per addetto al primo soccorso e ilcorso per addetto antincendio previsti dagli artt. 45 e 46 del DLgs 81/08 e i relativi corsi di aggiornamento, come indicato dal comma 3 dell’art. 34 DLgs 81/08.

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[Tratto da: PMI servizi ]

ROA nelle fonderie: valutazione del rischio e DPI

Ottobre 02, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

ROAsegnale

La valutazione del rischio da esposizione a radiazioni ottiche artificiali in fonderie e i criteri per la scelta dei DPI appropriati nei diversi cicli di lavoro.

E’ disponibile nella sessione documentazione del Portale Agenti Fisici, fra la Documentazione relativa alle Radiazioni Ottiche Artificiali, il rapporto nr. 03/15 “Valutazione del rischio da esposizione a radiazioni ottiche artificiali in fonderie e criteri di scelta dei DPI” a cura di Iole Pinto, Andrea Bogi, Nicola Stacchini, Francesco Picciolo – Usl 7 Sena – Laboratorio Sanità Pubblica – Agenti Fisici.

Valutazione del rischio da esposizione a radiazioni ottiche artificiali in fonderie e criteri di scelta dei DPI
Obiettivi
Obiettivo dello studio è stato la misura dell’entità dell’esposizione a radiazioni ottiche emesse nei processi di fusione della ghisa finalizzata ad una corretta valutazione del rischio e alla definizione di criteri per la scelta dei DPI appropriati nei diversi cicli di lavoro in fonderia. Le misure sono state condotte presso fonderie di prima fusione presenti sul territorio toscano. Le indagini si sono focalizzate sulle fasi del processo produttivo dove il materiale in lavorazione
(ghisa fusa) può trovarsi nel campo visivo degli operatori.
Metodiche di misura e valutazione
Le emissioni di radiazioni ottiche sono state misurate con una banda passante da 220nm a 2800nm.
L’emissione della sorgente viene acquisita contemporaneamente da più sonde ognuna delle quali è sensibile ad una porzione dello spettro ed ha una sua risposta caratteristica. La combinazione dei segnali delle sonde permette di stimare tutte le grandezze necessarie ai fini della valutazione dei rischi da esposizione a radiazioni ottiche, come descritto nel D.L.gvo 81/08.
Strumentazione utilizzata
Le misure sono state effettuate con il radiometro DeltaOhm, Modello: HD2402, utilizzando ilsoftware proprietario per la lettura dei valori delle grandezze considerate.
Condizioni di misura Le misurazioni sono state effettuate durante i normali cicli di lavorazione, collocando il sensore di misura in corrispondenza delle postazioni abitualmente occupate dai lavoratori.
Risultati
Le fasi del processo produttivo che presentano rischio di provocare esposizioni dei lavoratori a radiazioni ottiche superiori ai limiti stabiliti dalla normativa sono sinteticamente descritte nelseguito:
Fase1: Il materiale grezzo viene immesso in un forno rotativo dove viene fuso ad una temperatura di circa 1370°C. Da qui il materiale viene prelevato con un primo crogiolo (figura 1) per portarlo all’avanforno (figura 2).
Fase 2: dall’avanforno il materiale fuso viene colato in un crogiolo più piccolo del precedente (figura 3) per portarlo al carrello (figura 4).
Fase 3: Una volta nel carrello la ghisa viene colata negli stampi (figura 5).
La sorgente di radiazione ottica è la ghisa fusa, con emissione rilevante da un punto di vista fotobiologico nell’Infrarosso. Gli organi bersaglio per questa tipologia di esposizione sono camera anteriore dell’occhio e cute.
Nella tabella 1 sono riportati i valori di irradianza fra 380nm e 3000nm risultati dalle misurazioni.
Questa grandezza viene utilizzata dallo strumento per valutare i danni termici alla camera anteriore dell’occhio (parametro EIR) e alla cute (parametro HSKIN).
Tabella 1: valori misurati di irradianza e rispettivi tempi massimi di esposizione tali da garantire il rispetto dei valori limite per soggetti sani.
fonderietab1
Descrizione punti di misura:
P1: trasferimento ad avanforno, misura diretta (Fig. 2)
P2: prelievo da avanforno, misura diretta nella posizione dell’operatore (Fig. 3)
P3: trasferimento a carrello, misura diretta (Fig. 4)
P4: trasferimento a carrello, misura trasmessa attraverso la paratia, nella posizione dell’operatore.
fonderiefoto1 (1) fonderiefoto2 (1)
I limiti dettati dalla normativa a protezione della parte anteriore degli occhi e della pelle dalla radiazione infrarossa sono riportati in tabella 2:
fonderietab2
CRITERI SCELTA DPI E DISTANZE DI SICUREZZA
Per la valutazione dei DPI oculari idonei per le diverse mansioni ove si riscontrano superamenti del valori limite di esposizione(occhiali o maschere), è necessario analizzare i tempi di esposizione degli operatori presso le postazioni abitualmente occupate dagli stessi . Viene quindi individuata l’attenuazione dei DPI appropriata, con l’obiettivo di evitare il superamento dei limiti di esposizione prescritti dalla normativa, e nel contempo cercare di ridurre al minimo il disagio causato dall’indossare occhiali o maschere eccessivamente scure.
Si riporta nel seguito un esempio di valutazione per le diverse postazioni oggetto di valutazione.
P2: prelievo da avanforno, misura diretta nella posizione dell’operatore (Fig. 3): Indossando occhiali per infrarossi con una graduazione 4-1,2 il livello di esposizione oculare è inferiore al limite. La distanza dalla colata oltre la quale il livello di emissioni è comunque inferiore al valore limite è 3 metri.
P4: operatore addetto al trasferimento a carrello, posizione dietro la paratia: Indossando occhiali per infrarossi con una graduazione 4-1,7 il tempo di esposizione massimo è 400 secondi, mentre con una graduazione 4-2,3 il tempo di esposizione massimo è 480 secondi.
Per gli operatori addetti al prelievo da forno rotativo, possono essere adottate le stesse misure di tutela previste per l’operatore della postazione P4.
Nella tabella 3 sono riportati per ogni sorgente le distanze da rispettare per non avere superamento dei limiti di esposizione per rischio oculare, per tempi di esposizione pari a 10 minuti, 5 minuti e 2 minuti.
Una situazione tipica è quella degli operatori che pur non essendo addetti ad una mansione specifica che comporti l’esposizione alla radiazione emessa dal corpo incandescente, debbano transitare nei pressi dello stesso. Per valutare questo tipo di esposizioni nella tabella 3 sono date le distanze alle quali si ha il superamento dei limiti rispettivamente per esposizioni giornaliere di durata pari a 8 ore, 10 minuti, 5 e 2 minuti.
Il calcolo delle emissioni durante il trasferimento ad avanforno (punto di misura P1, fig. 2) è stato eseguito per esposizione frontale rispetto al crogiolo durante la fase di trasferimento del materiale.
Questa è la condizione peggiore, quindi i tempi riportati in tabella 1 e le distanze riportare in tabella 2 sono da intendersi per operatori che si trovino nella zona dove sono state effettuate le misurazioni.
Nel caso in cui gli operatori si trovino posti lateralmente rispetto al crogiolo, le emissioni sono minori, arrivando ad annullarsi se l’interno del crogiolo o il materiale fuso non sono a vista.
A titolo di esempio, gli operatori addetti che si trovino ad operare a circa 2,5 metri dal crogiolo, potranno indossare occhiali per infrarossi con graduazione 4 – 3 o 4 – 4, che permettono tempi di esposizione rispettivamente di 4 e 5 minuti nell’arco del turno di lavoro.
Per quanto riguarda il limite per il danno alla pelle, nelle condizioni operative normali non si ritiene che l’esposizione superi i limiti previsti dalla vigente normativa.
Tabella 3: Distanze di sicurezza dalle principali sorgenti di radiazioni ottiche in funzione dei tempi di stazionamento o di passaggio vicino alle stesse.
3
A titolo di esempio in tabella 4 si riportano le tipiche distanze di sicurezza da mantenere rispetto al centro della bocca del crogiolo a diversi angoli rispetto alla direzione frontale.
Tabella 4: Tipiche distanze di sicurezza dal crogiolo durante il trasferimento ad avanforno lungo varie direzioni, in funzione dei tempi di stazionamento o di passaggio vicino allo stesso cumulati sul turno di lavoro.
fonderietab4
Conclusioni
Nella presente valutazione sono state misurate le emissioni di radiazioni ottiche emesse durante il processo di fusione della ghisa e dell’immissione della stessa negli appositi stampi.
Durante le fasi di prelievo da rotativo, trasferimento ad avanforno, prelievo da avanforno, trasferimento a carrello, si hanno emissioni di radiazioni infrarosse che comportano un’esposizione degli operatori superiore ai valori limite.
Durante la fase di colata negli stampi le esposizioni sono in genere trascurabili, in relazione all’esposizione oculare, nelle postazioni normalmente occupate dagli operatori.
Gli operatori addetti alle fasi che danno luogo al superamento dei limiti di esposizione devono indossare gli appositi occhiali/maschere di protezione. Considerato che gli occhiali per infrarossi usati in fonderia sono spesso molto scuri, nel lavoro è stato mostrato che è possibile individuare l’appropriata attenuazione per ciascuna mansione e scegliere occhiali per infrarossi meno scuri, e quindi più confortevoli sotto il profilo ergonomico per il lavoratore, in funzione dei tempi di esposizione effettivamente riscontrabili presso ciascuna posizione nel corso dell’intero turno lavorativo.
Gli operatori che a qualsiasi titolo si trovino nelle vicinanze delle sorgenti che emettono radiazioni superiori ai limiti, possono evitare di indossare i DPI oculari solo se sono rispettate le distanze di sicurezza ed i tempi di esposizione descritti nel paragrafo precedente.
A tale riguardo è da rilevare che, pur essendo il rischio da esposizione a radiazione infrarossa in fonderia noto da oltre cento anni, le misure di tutela messe in atto per i lavoratori appaiono talvolta carenti; una delle principali criticità riscontate è associata a scelte di DPI oculari inappropriati:
spesso sono forniti ai lavoratori addetti ai processi di fusione occhiali di protezione o schermi dotati di filtro per radiazione ultravioletta, con numero di codice presente sull’etichetta della marcatura pari a 2 (fig. 7) : tali DPI non solo non sono efficaci nell’attenuare l’esposizione oculare alla radiazione infrarossa emessa dal metallo fuso, ma sortiscono l’effetto di incrementare l’esposizione oculare del lavoratore alla radiazione infrarossa, in quanto il lavoratore non percepisce alcun disagio provocato alla vista dall’ elevata luminosità del corpo incandescente, e pertanto è in grado di fissare la sorgente molto più a lungo di quanto non farebbe in assenza del dpi.
In figura 7 si riporta un esempio di marcatura per DPI oculari con filtro per infrarossi, che consente di riconoscere facilmente se il DPI messo a disposizione in azienda sia appropriato o meno.
Per quanto riguarda il limite per il danno alla pelle, nelle condizioni operative normali non si ritiene che l’esposizione superi i limiti previsti dalla vigente normativa.
Misure di tutela per i lavoratori
A seguito della presente valutazione appare necessario che vengano messe in atto le seguenti misure di tutela nei dei lavoratori addetti alle postazioni ove si è evidenziato il superamento dei limiti di esposizione:
1 Dovranno essere classificati esposti a Radiazioni Ottiche Artificiali: Rischio Radiazione Infrarossa e dovranno essere sottoposti a controllo sanitario inerente tale rischio specifico da
parte del medico competente;
2 L’area di lavoro con impiego di detti macchinari andrà opportunamente delimitata e segnalata con la seguente cartellonistica: il personale che a qualsiasi titolo si trovi ad operare all’interno dell’area durante la lavorazione del metallo fuso dovrà essere opportunamente istruito sui rischi di esposizione a ROA e sulle opportune misure di tutela da adottare.
ROAsegnale
Figura 6 – Segnaletica Pericolo Emissione Radiazioni Ottiche Artificiali
Il personale addetto ai processi di fusione e coloro i quali abbiano comunque accesso alle zone ove è presente il rischio ROA dovrà indossare specifici DPI per infrarossi individuati secondo i criteri stabiliti nel precedente paragrafo.
Il personale addetto ai processi di fusione dovrà ricevere un appropriato addestramento sulle idonee procedure di lavoro da adottare al fine di ridurre l’esposizione individuale e degli operatori che, a qualsiasi titolo, si trovino ad operare nelle zone sopra indicate, incluso la scelta e l’uso dei DPI.
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Figura 7 – Esempio di marcatura per DPI oculari per infrarossi: Il numero di codice dei filtri per infrarossi è 4. La graduazione è 4.Se la marcatura presente sull’occhiale presenta un numero di codice differente il dispositivo non è idoneo.Ad esempio il numero di codice 2 indica un filtro per UV, da non utilizzarsi in fonderia.

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I dati  analitici  delle  misure  di  esposizione  a  radiazione  Infrarossa  ottenuti  per  ciascuno  degli  apparati  valutati  è  disponibile  alla  banca  dati  ROA  del  Portale  Agenti  Fisici http://www.portaleagentifisici.it/fo_ro_artificiali_list_macchinari_avanzata.php?lg=IT&page=0
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a cura di Iole Pinto, Andrea Bogi, Nicola Stacchini, Francesco Picciolo – Usl 7 Siena – Laboratorio Sanità Pubblica – Agenti Fisici.
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[Tratto da Punto Sicuro ]

Dossier Stop Pesticidi 2015 – Legambiente

Ottobre 02, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

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Il nuovo rapporto di Legambiente sui residui chimici nei prodotti alimentari

In Italia l’uso della chimica in agricoltura è sempre elevato (siamo i primi consumatori europei di fitofarmaci e molecole chimiche per l’agricoltura secondo l’ultimo rapporto Eurostat) ma va rilevato il costante aumento della superficie coltivata con metodo biologico (+23,1% dal 2010 al 2013) e la sempre maggiore diffusione di pratiche agricole alternative e sostenibili.

Nonostante ciò, il quadro che emerge dall’ultimo rapporto “Stop PEsticidi” è tutt’altro che rassicurante: il 42% dei campioni analizzati (su un totale di 7132) risulta contaminato da uno o più sostanze chimiche. Ilmultiresiduo (presenza concomitante di più residui chimici in uno stesso campione alimentare), è salito di cinque punti percentuale dal 2012 al 2014, passando dal 17,1% al 22,4%, con campioni da record: cinque residui nelle mele, otto nelle fragole, quindici nell’uva da tavola, cioè in alimenti dalle ben note proprietà nutrizionali che però finiscono sulle nostre tavole carichi di pesticidi.

Gli studi scientifici hanno ampiamente dimostrato gli effetti che l’uso non sostenibile dei pesticidi produce anche in termini di perdita della biodiversità, riduzione della fertilità del terreno ed accelerazione del fenomeno di erosione dei suoli.

Si è tenuto a Expo 2015 il primo raduno degli ambasciatori del territorio. Un incontro dedicato alla nuova agricoltura italiana composta da piccoli e medi agricoltori e produttori locali che hanno adottato buone pratiche di coltivazione dando vita ad esperienze virtuose sul territorio, promuovendo i mercati locali, la diversificazione e i progetti innovativi di filiera, riconoscendo il valore del suolo e sostenendo lo sviluppo di economie solidali.

All’incontro hanno partecipato, tra gli altri, il Ministro dell’Agricoltura Maurizio MartinaRossella Muroni, direttrice nazionale Legambiente, Lucio Cavazzoni, presidente Alce Nero, Daniela Sciarra, coordinatrice Agricoltura Legambiente,Franco Berrino, Istituto dei Tumori di Milano, Ulrich Veith, Sindaco di Malles,Diego Pagani, Presidente Conapi e Beppe Croce, responsabile Agricoltura Legambiente.

Durante l’incontro Legambiente ha presentato il nuovo rapporto sui residui chimici nei prodotti ortofrutticoli e derivati in commercio in Italia “Stop pesticidi”.

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Solo lo 0,7% dei campioni di prodotti agricoli e derivati analizzati dal laboratori pubblici regionali risultano fuori legge per la presenza di determinate sostanze chimiche oltre il limite permesso o per tracce di sostanze vietate dalla normativa attuale. In Italia l’uso della chimica in agricoltura è sempre elevato (siamo i primi consumatori europei di fitofarmaci e molecole chimiche per l’agricoltura secondo l’ultimo rapporto Eurostat) ma va rilevato il costante aumento della superficie coltivata con metodo biologico (+23,1% dal 2010 al 2013) e la sempre maggiore diffusione di pratiche agricole alternative e sostenibili.

Nonostante ciò, il quadro che emerge dall’ultimo rapporto sul tema presentato oggi a Milano è tutt’altro che rassicurante: il 42% dei campioni analizzati (su un totale di 7132) risulta contaminato da uno o più sostanze chimiche. Il multiresiduo (presenza concomitante di più residui chimici in uno stesso campione alimentare), è salito di cinque punti percentuale dal 2012 al 2014, passando dal 17,1% al 22,4%, con campioni da record: cinque residui nelle mele, otto nelle fragole, quindici nell’uva da tavola, cioè in alimenti dalle ben note proprietà nutrizionali che però finiscono sulle nostre tavole carichi di pesticidi.

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“La normativa vigente  – ha dichiarato la direttrice di Legambiente Rossella Muroni – ha portato nel tempo a controlli più stringenti sull’uso corretto dei pesticidi in agricoltura, tuttavia i piani di controllo dei residui di fitosanitari negli alimenti, predisposti a livello europeo e nazionale, non dedicano la giusta attenzione al fenomeno del multiresiduo e delle sue possibili ripercussioni sulla salute dei consumatori. La normativa infatti, continua a considerare sempre un solo principio attivo, fissandone i limiti come se fosse l’unico a contaminare un prodotto. Come abbiamo visto però, i residui possono essere anche più di dieci e dunque è fondamentale che l’Efsa si attivi per valutare e definire i rischi connessi ai potenziali effetti sinergici sulla salute dei consumatori e degli operatori e quelli sull’ambiente. Anche la legislazione europea (Regulation (EC) No. 396/2005) chiede che nella determinazione del LMR si tenga conto  dei possibili effetti cumulativi, additivi e sinergici tra le sostanze, metodologia che oggi tarda ad essere applicata”.

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Gli studi scientifici hanno ampiamente dimostrato gli effetti che l’uso non sostenibile dei pesticidi produce anche in termini di perdita della biodiversità, riduzione della fertilità del terreno ed accelerazione del fenomeno di erosione dei suoli. Ad esempio, l’uso spropositato di erbicidi a largo spettro per il controllo delle infestanti, quali il ben noto glifosato, lascia i suoli perennemente nudi ed esposti. Proprio sulla questione dell’utilizzo del glifosato si è attivato il Tavolo delle 17 associazioni ambientaliste e dell’agricoltura biologica, di cui Legambiente fa parte, richiedendo ai ministri della salute, dell’ambiente,  delle politiche agricole di intervenire per impedirne definitivamente la produzione, la commercializzazione e l’uso, dopo che lo IARC, l’agenzia per la ricerca sul cancro dell’Oms, lo ha classificato come sicuro cancerogeno per gli animali e fortemente a rischio anche per l’uomo. Il tavolo delle associazioni ha quindi sollecitato il Governo e il Parlamento a intervenire urgentemente per l’applicazione del principio di precauzione e per chiedere alle Regioni di rimuovere il prodotto da tutti i disciplinari di produzione che lo contengono e di escludere da qualsiasi premio nei PSR le aziende che ne facciano uso.

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Fortemente minacciata è anche la salute delle acque, come l’ISPRA ha sottolineato nell’ultimo Rapporto sullo stato delle acque italiane (2013), che ha rilevato la presenza in acque superficiali e sotterranee di 175 diverse sostanze chimiche, erbicidi in primis, con il glifosato in testa, seguito da fungicidi e insetticidi. A fare le spese del largo ricorso alla chimica di sintesi per usi agricoli è anche la biodiversità. Si pensi alla moria di api senza precedenti, che negli anni scorsi ha portato a puntare l’indice contro i neonicotinoidi – thiamethoxam, clothianidin e imidacloprid – gli antiparassitari usati per la concia delle sementi di mais, di cui in Italia ad oggi è sospeso l’utilizzo.

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I risultati dell’indagine.

Nel 2014 i laboratori pubblici, accreditati per il controllo ufficiale dei residui di fitosanitari negli alimenti, hanno analizzato 7132 campioni tra prodotti ortofrutticoli, prodotti derivati e miele.

La percentuale di campioni irregolari si attesta sullo 0,7% (era 0,6% del 2012). Rispetto al 2012 la percentuale di campioni regolari e privi di alcun residuo di pesticida è scesa dal 64% al 58%, un ribasso che è legato al corrispondente incremento, fino al 42%, della percentuale di campioni regolari ma contenenti almeno un residuo. In definitiva, quasi un campione analizzato su due contiene uno o più residui di pesticidi, compresi casi di veri e propri cocktail di sostanze attive rilevate in uno stesso campione. Nel dettaglio, il 18,8% dei campioni presenta un solo residuo di pesticida, mentre il 22,4% dei campioni analizzati (rispetto al 17,15% del 2012), rientra nella categoria del multiresiduo. In quest’ultima è la frutta a mostrare le concentrazioni più rilevanti: sul totale dei campioni analizzati per questa matrice alimentare, circa il 43,3% contiene due o più residui chimici.

Le sostanze attive più frequentemente rilevate sono ancora oggi il Boscalid, il Captano, il Clorpirifos, il Fosmet, il Metalaxil, l’Imidacloprid, il Dimetoato, l’Iprodione, che si rintracciano nelle matrici alimentari e nei loro prodotti derivati spesso associate a creare preoccupanti combinazioni, i cui effetti sinergici sulla salute dell’uomo e sull’ambiente sono ad ora terreno di studio poco battuto.

Il laboratorio di analisi della Provincia di Bolzano (che come tutti gli altri, esamina campioni di prodotti in commercio, non solo prodotti localmente) rileva residui di sostanze attive in quasi metà dei campioni (45%), con alcuni casi eclatanti: otto residui in un campione di fragole locali (Pirimetanil, Piraclostrobin, Fenhexamid, Azossistrobina, Quinoxifen, Fludioxonil, Ciprodinil, Boscalid) e un campione di uva da vino, dove insieme al Captano, peraltro non autorizzato nella specifica coltura (il campione infatti è in realtà conteggiato nelle irregolarità), sono stati riscontrati anche Ciprodinil, Zoxamide, Spiroxamina, Metrafenone, Fludioxonil, Metossifenozide, Tetraconazolo. Ma il dato rilevante è che su 37 vini analizzati, 24 contengono una media di 3 o 4 residui di fitofarmaci, con punte fino a 8 residui in un vino DOC di produzione locale(Fenhexamid, Metalaxyl, Boscalid, Dimetomorf, Fludioxonil, Pirimetanil, Iprovalicarb, Ciprodinil).

Situazione analoga, per ciò che riguarda il comparto vinicolo, in Friuli Venezia Giulia, dove in un campione di vino sono stati rilevati fino a sette residui(Fenexamid, Boscalid, Cyprodinil, Dimetomorf, Indoxacarb, Pirimetanil e Metalaxil), e quasi metà dei campioni di frutta analizzati con multiresiduo. Anche la Puglia registra campioni da record, soprattutto nelle uve: un campione di uva contiene 15 diverse sostanze attive (ma non è stato fornito il dettaglio delle sostanze) e sono stati rintracciati picchi di 8 e 9 sostanze chimiche diverse, rispettivamente, in un campione di fragole e uno di pere.

Cocktail di sostanze attive si trovano anche in Liguria in produzioni tipiche quali un campione di basilico di produzione locale ligure con  sette residui (Dimetomorf, Fluopicolide, Piraclostrobin, Spinosad, Imidacloprid, Spinosin D, Spinosin A), mentre un campione di mele di provenienza extraregionale risulta regolare ma con sei diversi residui chimici, tra cui il Boscalid e il Clorpirifos.

L’Emilia Romagna ha rilevato 11 non conformità, di cui 5 in campioni di pere, clementine e uva da vino trattate con sostanze attive non più autorizzate in Italia per queste colture, mentre le restanti irregolarità riguardano il superamento dell’LMR stabilito per Dimetoato e Clorpirifos Etile rispettivamente su finocchi, fagiolini, funghi e sulle bietole. Tredici irregolarità, ma su un numero di campionature molto elevate, sono state registrate in Puglia, su campioni di clementine, carciofi, rape, pomodori, pesche, bietole, lattuga, uva, pesto e su campioni di melagrana e ciliegie provenienti dalla Turchia, in tutti i casi per superamento dei limiti massimi consentiti per legge.

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L’esposizione ai pesticidi, assunti con il cibo è sicuramente più bassa rispetto ad altri tipi di esposizione, come ad esempio quella diretta dei lavoratori agricoli. Ma gli studi scientifici dimostrano che i pesticidi possono produrre effetti negativi sulla salute anche a basse dosi. Poiché manca ancora oggi una piena conoscenza dei loro meccanismi d’azione e interazione, la ricerca scientifica deve proseguire, sostenuta da un maggiore investimento. Nel frattempo, dovrebbe essere applicato il principio di precauzione per garantire la tutela della salute dei consumatori.

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Oggi l’agricoltura italiana sta compiendo diversi sforzi nella direzione di un uso sostenibile dei pesticidi. Il miglioramento che si registra è sostenuto soprattutto da quella fetta crescente di agricoltori che rivolgono lo sguardo al biologico, oggi non più un mercato di nicchia ma un comparto produttivo e competitivo, il cui fatturato si attesta sui tre miliardi di euro. Lo evidenziano i dati presentati dal Sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica del Mipaaf (Sinab), secondo cui la superficie agricola coltivata a biologico ha raggiunto il 10,8% della superficie agricola utilizzata totale e il settore ha registrato un incremento del 5,8% del numero di operatori certificati rispetto al 2013. La strada da percorrere è quindi già definita, occorre però che sia sostenuta da un solido impianto normativo che incentivi con misure concrete e premialità chi pratica biologico, biodinamico e contribuisce alla diffusione dei principi dell’agroecologia. A tal proposito, l’adozione di un Piano d’Azione Nazionale per il biologico che tra le misure quantifichi il traguardo da raggiungere, almeno raddoppiando entro il 2020 la superficie coltivata a biologico, è un obiettivo da non mancare.

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Buone pratiche agricole, come la rotazione colturale, il sovescio e tecniche di lavorazione del terreno a minor impatto ambientale contribuiscono a mantenere i suoli sani e fertili, a preservarli dall’erosione e ridurre il rischio idrogeologico. Suoli sani inoltre restituiscono prodotti salubri e genuini. Il ripristino e la valorizzazione di queste tecniche agronomiche rappresentano quindi la direttrice su cui condurre l’agricoltura italiana per raggiungere non più procrastinabili obiettivi di sostenibilità. Su questa direttrice, da tempo, si muove la rete degli Ambasciatori del Territorio di Legambiente, che racchiude quasi 150 realtà agricole italiane che producono nel rispetto del patrimonio ambientale, sociale e culturale dei loro territori e che rappresentano un modello di economia sostenibile che già funziona.

 

“Siamo promotori di  imprese agricole, alimentari e di cucineria non solo biologiche, non solo impegnate a curare l’ambiente  e la salute di tutti, ma che promuovono modelli e aprono strade ed opportunità nei loro territori all’insegna di una produzione sana, sostenibile  e innovativa  e ricca di cibo – ha dichiarato il Presidente di Alce Nero Lucio Cavazzoni -. Il cibo è innanzitutto relazione, fra l’agricoltore e l’ambiente , con gli animali, fra l’agricoltore ed i fruitori dei prodotti. Queste ambasce vogliamo portare in giro per l’Italia, vogliamo collegare fra loro per imparare e crescere in una agricoltura di relazione e di equilibrio. Equilibrio ed equità hanno lo stesso etimo. Questa è l‘agricoltura di domani!”

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Tra le buone pratiche segnalate oggi nel corso dell’incontro a Milano, quella dellaAzienda Agricola Angelone Leonardo di  Policoro (MT), che produce frutta e verdura con metodo organico e biodinamico applicando con estremo rigore i criteri di Alex Podolinsky, uno dei massimi esperti europei di agricoltura biodinamica, nella produzione di preparati e nella loro conservazione, dinamizzazione, distribuzione e infine nella lavorazione del terreno, ottenendo risultati superiori all’agricoltura convenzionale e a quella biologica.

L’Azienda Agricola Biologica Marco Campobasso di Castellaneta Marina (TA), invece, si distingue oltre che per essere alimentata da un impianto fotovoltaico, per l’allevamento di un insetto utile, il Criptolaemus Montrouzieri, predatore delle cocciniglie, in particolare del Planococcus citri., che consente di attuare interventi tempestivi in campo.  L’Azienda Agricola Cascina di Francia – Moncrivello (VC), sin dall’inizio ha improntato la produzione ortofrutticola secondo criteri rispettosi degli animali e dell’ambiente e nel 2011 ha acquisito la certificazione bio (Icea). Un’azienda relativamente piccola, ma molto diversificata, capofila di altre piccole aziende biologiche che nella zona collinare al confine fra le province di Vercelli e di Torino che hanno costituito l’associazione, A.L.B.A. (Agricoltori Locali Biologici Associati), con regolamenti e disciplinari per garantire ai consumatori il massimo rispetto degli obiettivi e delle normative. Convinta che l’agricoltura è produzione di valori e non solo di cibo, Cascina di Francia inoltre inserisce in azienda persone in difficoltà e in situazioni di svantaggio. Il Consorzio Formicoso Alta Irpinia è tornato a coltivare una varietà storica di frumento duro, il Senatore Cappelli, per produrre semole e pasta di alta qualità. Un disciplinare prescrive la coltivazione del Senatore Cappelli in rotazione con erbai polifiti o con leguminose (favino, cece), senza ricorso a diserbanti o a concimazioni di fondo e di copertura, superflue del resto data l’altezza e rusticità di questo frumento. Alcuni agricoltori hanno anche allevamenti di vacche da latte e seminano, in rotazione col grano, erbai polifiti che consentono di ottenere il Latte Nobile. L’obiettivo comune degli agricoltori del Consorzio, diventati 25 rispetto ai 13 iniziali, è di arrivare a gestire l’intera filiera fino al prodotto finito (paste, latte o formaggio).

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Di seguito, sono riportate le tabelle – riepilogative nazionali e suddivise su base regionale – elaborate in base ai risultati delle analisi di residui di fitofarmaci negli alimenti di origine vegetale e miele per i campioni del 2014. Le analisi sono state effettuate dai laboratori pubblici regionali – Agenzie per la Protezione dell’Ambiente, Asl e Istituti Zooprofilattici Sperimentali – accreditati per i controlli ufficiali dei residui di pesticidi negli alimenti. I campioni sono suddivisi in irregolari (con residui in concentrazione superiore al LMR o per sostanza attiva non autorizzata), regolari senza alcun residuo e regolari con uno o più residui di fitofarmaci entro i limiti stabiliti dalla legge.

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Scarica il dossier stop pesticidi 2015 (.pdf – 1.84 MB)

[ Tratto da Legambiente  Dossier Stop Pesticidi 2015 e Stop pesticidi: il nuovo rapporto di Legambiente sui residui chimici nei prodotti alimentari ]

INAIL – Agenti cancerogeni e mutageni: i dispositivi di protezione individuale

Ottobre 01, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

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La Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione (CONTARP) dell’INAIL ha realizzato un documento sui Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) dal titolo Agenti cancerogeni e mutageni: lavorare sicuri.

Nel documento si ricorda che laddove, malgrado la presenza di misure di prevenzione e/o di protezione collettive, permanga un rischio residuo di esposizione:

  • il datore di lavoro deve fornire ai lavoratori esposti o potenzialmente esposti idonei DPI;
  • i lavoratori sono obbligati a indossare i DPI ricevuti e ad averne cura.

Dopo aver riportato alcune indicazioni sulle caratteristiche generali dei DPI, vengono presentati i principali DPI utilizzati per la protezione da agenti chimici, con alcune indicazioni particolari per gli agenti cancerogeni/mutageni e con riferimento a vie respiratorie, arti superiori, arti inferiori, occhi e viso, corpo.

Ci soffermiamo sui DPI per le vie respiratorie:

  • respiratori a filtro antipolvere: “proteggono da particelle (polveri, fibre, fumi, nebbie). L’aria inspirata viene filtrata mediante azione meccanica ed elettrostatica”. I due principali tipi di dispositivi sono: facciale filtrante (“è costituito da un unico elemento di materiale filtrante, indicato dalla sigla FFP. Può essere munito di valvola di espirazione; va sostituito alla fine di ciascun turno lavorativo”) e maschera (semimaschera o pieno facciale: “la semimaschera copre solo naso e bocca e vi si montano in modo intercambiabile i filtri, di colore bianco e indicati dalla sigla P. Il pieno facciale copre invece tutto il viso. I filtri possono essere 1 o 2”. Oltre a facciali filtranti e maschere, esistono caschi e cappucci con filtri (ad i caschi ventilati per saldatura). Il documento si sofferma ulteriormente sulle classi di efficienza e sulla tipologia di facciali filtranti e filtri;
  • respiratori a filtro antigas: “proteggono da gas e vapori, trattenuti da filtri a carbone attivo per assorbimento chimico o fisico. I filtri sono distinti in Tipi, in base alla sostanza o classi di sostanze che assorbono (Norma EN 14387:2008) e anche i respiratori antigas comprendono facciali filtranti, maschere, caschi o cappucci. Anche in questo caso nel documento si riportano le varie tipologie, colori e protezione dei filtri;
  • respiratori a filtro combinati: “proteggono contemporaneamente da particelle e gas/vapori. Sono muniti di un filtro antipolvere (P o FFP) e uno o più filtri antigas, da selezionare separatamente”. È riportata nel documento una tabella con i tipi di filtri combinati previsti dalla norma EN 14387;
  • respiratori isolanti: “a differenza dei respiratori a filtro, quelli isolanti sono indipendenti dall’atmosfera ambiente. L’aria fresca, fornita all’utilizzatore da sorgenti alternative (es. bombole di aria compressa), viene convogliata nel facciale (o casco/cappuccio) attraverso un raccordo”. Questi respiratori sono necessari se: “l’atmosfera è carente di ossigeno (concentrazione < 17%); i contaminanti sono presenti in concentrazioni superiori ai limiti di utilizzo dei respiratori a filtro; i contaminanti gassosi hanno soglia olfattiva maggiore del TLV-TWA; la natura e/o la concentrazione dei contaminanti non sono note; si lavora in ambienti confinati”.

Veniamo alle indicazioni particolari per agenti cancerogeni e/o mutageni.
Si “raccomandano:

  • dispositivi filtranti FFP3 o P3 (eventualmente S o SL) in presenza di particelle;
  • dispositivi filtranti con filtri antigas specifici in presenza di gas/vapori;
  • dispositivi filtranti FFP3/P3 + filtri antigas specifici in presenza di una combinazione di particelle e gas/vapori”.

Inoltre in circostanze particolari – ad esempio incidenti o altri eventi non prevedibili; operazioni lavorative che possono comportare un’esposizione rilevante (es. manutenzione) – sono indicati respiratori isolanti.

Veniamo brevemente ai DPI per gli arti superiori.
I guanti “costituiscono una barriera tra la cute e gli agenti chimici; la protezione si basa sulla resistenza alla penetrazione (passaggio di una sostanza attraverso le porosità del manufatto), ma soprattutto alla permeazione (attraversamento, a livello molecolare, del materiale costituente)”. Possono essere monouso, usa-e-getta o riutilizzabili.
Queste le indicazioni particolari per agenti cancerogeni/mutageni:

  • “i guanti devono essere sufficientemente lunghi, tali da coprire almeno l’avambraccio, meglio se monouso o usa-e-getta;
  • per un’ottimale protezione, si raccomanda un doppio paio di guanti”.

Il documento si sofferma anche sui DPI per gli arti inferiori (calzature di sicurezza, copriscarpe) e sui DPI per gli occhi e il viso (con riferimento a occhiali di protezione, visiera e schermo), ricordando che – per quanto riguarda occhi e viso e la protezione dagli agenti cancerogeni e mutageni – “si raccomandano occhiali a mascherina o visiera per la manipolazione di prodotti nocivi a contatto con gli occhi in generale”. E per la saldatura “è indicato uno schermo filtrante, oppure un casco ventilato”.

Rimandando alla lettura integrale del documento Inail, concludiamo questo breve percorso informativo con qualche indicazione sui DPI per il corpo.
Questi DPI “comprendono indumenti per la protezione completa (tute) o parziale (es. camici, grembiuli) del corpo. Anche gli indumenti devono essere resistenti alla penetrazione e alla permeazione. Sono generalmente costituiti da Tessuto-Non-Tessuto (TNT) in materiali polimerici (es. ®Tyvek) e possono essere riutilizzabili, monouso o usa-e-getta”.
E le norme EN individuano sei tipologie di indumenti, marcati con specifici simboli.
In particolare i simboli fanno riferimento a:

  • indumenti a tenuta stagna ai gas;
  • indumenti a tenuta stagna, ma non ai gas;
  • indumenti a tenuta a getti di liquidi;
  • indumenti a tenuta a spruzzi di liquidi;
  • indumenti a tenuta alle polveri;
  • indumenti a tenuta “limitata” a schizzi di liquidi.

Riportiamo, infine, le indicazioni particolari per agenti cancerogeni/mutageni.

Innanzitutto “si raccomandano indumenti monouso o usa-e-getta, a protezione completa o parziale”.
E in circostanze particolari, vale a dire:

  • incidenti o altri eventi non prevedibili;
  • operazioni lavorative che possono comportare un’esposizione rilevante (es.manutenzione),

sono indicati indumenti di Tipo 1A/1B o 1C”, cioè indumenti a tenuta stagna ai gas che siano impermeabili all’aria e ai gas con autorespiratore all’esterno per squadre di emergenza (A) o impermeabili all’aria e ai gas con autorespiratore all’interno per squadre di emergenza (B) o impermeabili all’aria e ai gas con autorespiratore all’esterno per lavoro (C).

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INAIL – Agenti Cancerogeni e Mutageni – Lavorare Sicuri (formato PDF, 9.83 MB)

A cura di Maria Ilaria Barra, Francesca Romana Mignacca, Paola Ricciardi

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[Tratto da: Punto Sicuro ]

Le sanzioni del Testo Unico dopo le modifiche del D.Lgs.151/2015

Ottobre 01, 2015 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

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Come cambia l’apparato sanzionatorio del D.Lgs.81/08 a seguito dell’entrata in vigore del Decreto attuativo del Jobs Act che ha introdotto norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Di Anna Guardavilla.

Come ormai noto, giovedì scorso 24 settembre è entrato in vigore, tra i vari decreti attuativi della legge delega n.183, il D.Lgs. 14 settembre 2015 n. 151 recante “disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n.183” (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.221 del 23 settembre 2015, Supplemento Ordinario n. 53).
Ricordiamo che la legge 10 dicembre 2014 n.183 [1] aveva conferito “deleghe al Governo in  materia  di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione  delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.”
Per quanto riguarda la prevenzione sui luoghi di lavoro, in particolare, la legge delega (all’art.1 commi 5 e 6) aveva previsto che “allo scopo di conseguire obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro nonché in materia di igiene e sicurezza sul lavoro”, il Governo veniva delegato ad adottare, entro sei mesi,“uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni di semplificazione e razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti a carico dei cittadini e imprese”.
Nell’esercizio di tale delega il Governo si sarebbe dovuto attenere, tra gli altri, ai seguenti principi e criteri direttivi:
[…] b) semplificazione, anche mediante norme di carattere interpretativo, o abrogazione delle norme  interessate  da  rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali o amministrativi;
[…] f) revisione del regime delle sanzioni, tenendo conto dell’eventuale natura formale della violazione, in modo da favorire l’immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita, nonché valorizzazione degli istituti di tipo premiale;
[…] l) promozione del principio di legalità e priorità delle politiche volte a prevenire e scoraggiare il lavoro sommerso in tutte le sue forme …”
In attuazione di tale legge delega, come si diceva, è dunque stato emanato il D.Lgs.151/2015.
Benché tale decreto – occorre premettere sin da subito – non abbia minimamente stravolto né mutato radicalmente l’impianto degli obblighi, delle responsabilità e degli adempimenti previsti dal Testo unico di salute e sicurezza, esso ha comunque apportato alcune modifiche ed integrazioni a tale provvedimento, che hanno riguardato anche gli aspetti sanzionatori.
Alcune norme sanzionatorie contenute nel decreto 81 sono infatti state modificate dall’articolo 20 (“modificazioni al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81”) del decreto legislativo 151, una disposizione contenuta nel Titolo I (“razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti e revisione del regime delle sanzioni)Capo III (“razionalizzazione e semplificazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro”) di tale decreto.
 
Inoltre l’articolo 22 (“Modifica di disposizioni sanzionatorie in materia di lavoro e legislazione sociale”) del Decreto 151 ha apportato ulteriori modifiche al decreto 81/08 ed in particolare all’articolo 14 dello stesso sulla sospensione dell’attività imprenditoriale.
Vediamo ora nello specifico le modifiche apportate dal decreto 151/2015 alle sanzioni contenute nel Testo Unico di salute e sicurezza sul lavoro.
1) Il mancato invio dei lavoratori alle visite mediche e la mancata erogazione della formazione
 
All’interno della norma sanzionatoria contenuta nell’articolo 55 del D.Lgs.81/08 (“Sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente”), in coda a tutte le altre disposizioni viene aggiunto un ultimo comma (6-bis) che prevede che “in caso di violazione delle disposizioni previste dall’articolo 18, comma 1, lettera g), e dall’articolo 37, commi 1, 7, 9 e 10, se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori gli importi della sanzione sono raddoppiati, se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori gli importi della sanzione sono triplicati.”
Dunque:
– Nel caso il datore di lavoro o il dirigente ometta di “inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza [e richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel presente decreto”; ma si ritiene che il legislatore abbia voluto rinviare principalmente al primo periodo della disposizione, quello relativo all’invio dei lavoratori alle visite mediche, data la previsione di parametri numerici aventi ad oggetto i lavoratori], l’importo della sanzione prevista dall’articolo 55 c. 5 lett. e) deve essere raddoppiata se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori e triplicata se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori.
– Nel caso il datore di lavoro o il dirigente ometta di erogare la formazione prevista dalla legge ai lavoratori, ai preposti, ai dirigenti, ai lavoratori incaricati dell’antincendio e primo soccorso e al/ai rappresentante/i dei lavoratori per la sicurezza, l’importo della sanzione prevista dall’articolo 55 c. 5 lett. c) deve essere raddoppiata se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori e triplicata se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori.
Questa nuova disposizione chiarisce finalmente i dubbi che venivano spesso sollevati in passato in ordine alla sanzione applicabile ai casi in cui le omissioni relative alla formazione o alla sorveglianza sanitaria riguardassero una molteplicità di lavoratori, fornendo ora – attraverso l’introduzione di parametri numerici convenzionali stabiliti dal legislatore – un indirizzo preciso, ispirato alla constatazione che la mancata tutela di più persone, e quindi la violazione dei diritti soggettivi di più persone, non può essere equiparata in termini di gravità (dal punto di vista quantitativo) alla – già grave – mancata tutela di una persona.
2) Attrezzature di lavoro – Titolo III D.Lgs.81/08
 
Viene modificato l’articolo 87 (“Sanzioni a carico del datore di lavoro, del dirigente, del noleggiatore e del conducente in uso”), mediante la correzione di alcune duplicazioni di sanzioni e di alcuni refusi contenuti nella precedente versione della norma sanzionatoria, mediante l’inserimento di nuovi riferimenti sanzionatori nonché la specificazione o la modifica delle modalità di applicazione di alcune disposizioni sanzionatorie già presenti.
3) Sospensione dell’attività imprenditoriale
 
Viene modificato l’articolo 14 (“Disposizioni per il contrasto del lavoro irregolare e per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori”) del D.Lgs.81/08 nel seguente modo:
– Si procede ad un arrotondamento degli importi relativi alla “somma aggiuntiva” il cui pagamento  rappresenta il presupposto per la revoca del provvedimento di sospensione da parte dell’organo di vigilanza.
Si ricorda qui che le “somme aggiuntive” di cui all’art. 14 del D.Lgs.81/08 che occorre versare ai fini della revoca del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale non costituiscono tecnicamente una “sanzione” (in questo senso si veda, una per tutte, Circ. Min. Lav. 29 agosto 2013 n. 35, ma si vedano anche le precedenti circolari del Ministero del Lavoro); tuttavia, una volta richiamata questa distinzione, si è ritenuto di dare conto in questo contributo anche delle modifiche apportate dal D.Lgs.151/2015 al regime delle somme aggiuntive di cui all’articolo 14.
– Si inserisce all’interno dell’articolo 14 un comma (5-bis) secondo cui, “su istanza di parte, fermo restando il rispetto delle altre condizioni di cui ai commi 4 e 5, la revoca è altresì concessa subordinatamente al pagamento del venticinque per cento della somma aggiuntiva dovuta.
L’importo  residuo,  maggiorato  del  cinque  per cento,  è  versato  entro  sei  mesi  dalla  data  di  presentazione dell’istanza di revoca. In caso di mancato versamento o di versamento parziale dell’importo residuo entro detto termine,  il  provvedimento di accoglimento dell’istanza di cui al  presente  comma  costituisce titolo esecutivo per l’importo non versato.”
 
Concludiamo ricordando, riguardo alla revoca del provvedimento di sospensione, che la Circolare n.33/2009 del Ministero del Lavoro aveva chiarito a suo tempo che essa compete all’Ufficio che lo ha adottato (anche mediante personale diverso da quello che ha emanato l’atto) e che le somme versate per la revoca confluiscono nel Fondo per l’occupazione e sono destinate “al finanziamento degli interventi di contrasto al lavoro sommerso e irregolare”.
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
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[Tratto da: Punto Sicuro]