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Sulla responsabilità per l’infortunio occorso a un lavoratore in nero

Gennaio 23, 2017 By: PolissFormazione Category: Senza categoria

Secondo il D. Lgs. 81/2008 è definito lavoratore e va tutelato chiunque ponga in essere una prestazione di lavoro in senso lato a prescindere dall’eventuale mancanza di un contratto e dalla episodicità della prestazione.

Si sofferma la Corte di Cassazione in questa sentenza sulla definizione di lavoratore ai fini dell’applicazione delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro e dell’obbligo della tutela della sua salute e sicurezza. Il lavoratore, infatti, secondo quanto indicato nell’articolo 2 comma 1 lettera a) del citato D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i., è colui che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito della organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, ha sostenuto la suprema Corte, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione. Ne deriva che il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire la sicurezza sul luogo di lavoro per tutti i soggetti che prestano la loro opera nell’impresa, senza distinguere tra lavoratori subordinati e persone estranee all’ambito territoriale.

 

Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in Cassazione

La Corte d’Appello ha confermata la condanna pronunciata dal locale Tribunale nei confronti del titolare di un’impresa individuale ritenuto responsabile dell’infortunio occorso ad un lavoratore, operaio in nero, il quale all’interno dello stabilimento dell’impresa stessa durante le operazioni di posa in opera di alcuni pannelli in policarbonato isolanti di ampie dimensioni da collocarsi sulla controsoffittatura degli uffici, fino a raggiungere il colmo del capannone, dopo essere salito su una scala a forbice, è precipitato al suolo da un’altezza di tre metri circa e si è schiantato sulla sottostante scrivania in cristallo, riportando gravissime lesioni ad un occhio e al massiccio facciale.

All’imputato è stata contestata sia una colpa generica sia la violazione di specifiche norme in materia di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, e precisamente: la mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi di cui all’art. 17 comma 1 lett. a) del D. Lgs. n. 81/2008, contenente l’individuazione delle procedure per l’esecuzione dei lavori in quota, la mancata richiesta ai lavoratori del rispetto delle norme di sicurezza (utilizzo di un trabattello e dei necessari dispositivi di protezione individuale) in violazione dell’art. 18 comma 1 lett. f) del D. Lgs. n.81/2008, il mancato controllo dell’osservanza di queste prescrizioni, il mancato adempimento, in favore della persona offesa, degli obblighi di informazione e di formazione sui rischi specifici cui ciascun lavoratore era esposto in ragione dell’attività svolta, e sulle conseguenti misure di prevenzione e protezione (artt. 36 e 37 del D. Lgs. n. 81/2008 oltre a una negligenza, ricavabile dall’art.2087 c.c., consistita nella mancata adozione, nell’esercizio dell’impresa, delle misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori anche occasionali, e, nello specifico, delle tecniche necessarie a ridurre al minimo i rischi connessi all’esecuzione dei lavori in quota.

La Corte di Appello ha quindi deciso che le modalità di svolgimento del lavoro erano state di estrema pericolosità, che il datore di lavoro non aveva adottato alcuna misura di prevenzione idonea al tipo di lavorazione in quota, che nella condotta dell’infortunato non era ravvisabile un comportamento abnorme, che gli obblighi gravanti sull’imprenditore di predisporre le misure di protezione collettiva ed i dispositivi di protezione individuale avevano come destinatari non solo i lavoratori subordinati ma tutti i soggetti operanti nell’ambiente di lavoro, e dunque, nello specifico caso, anche l’infortunato che lavorava, senza un regolare contratto, come “tuttofare” e veniva chiamato secondo necessità.

L’imputato ha proposto ricorso, a mezzo del difensore di fiducia, lamentandosi, come motivazione principale, che la Corte territoriale, una volta esclusa l’esistenza di un lavoro subordinato, avrebbe dovuto accertare almeno l’esistenza di un lavoro autonomo, che comprendesse l’attività da cui era poi originato l’evento, mentre nel caso in esame allo stesso non era stato affidato alcun incarico di collaborare con gli altri operai nelle opere di manutenzione interna del capannone. Per tale ragione quindi, secondo il ricorrente, non era ravvisabile a suo carico alcun profilo di colpa poiché nel processo di causazione dell’evento lesivo si era inserita, come causa estranea, la condotta dello stesso infortunato, esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute.

 

Le decisioni della Corte di Cassazione

1. Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione. “Le norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro”, ha sostenuto la stessa, “si applicano a chiunque ponga in essere una prestazione lavorativa in senso lato, anche occasionale o senza retribuzione ovvero per imparare un mestiere, sicché la tutela, oltre a riguardare i lavoratori subordinati, si estende a tutte le persone che vengano a trovarsi in situazioni di pericolo connesse all’attività esercitata, a prescindere dall’eventuale mancato perfezionamento di un contratto e dall’episodicità della prestazione”. Ciò, ha quindi precisato la suprema Corte, “in base all’art. 2, comma 1, lett. a) del D. Lgs. n. 81/2008, che definisce ‘lavoratore’ colui che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione” per cui, di conseguenza, il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire la sicurezza sul luogo di lavoro per tutti i soggetti che prestano la loro opera nell’impresa, senza distinguere tra lavoratori subordinati e persone estranee all’ambito imprenditoriale.

A tale principio di diritto, ha quindi proseguito la Sez. IV,  si sono uniformati i giudici del merito i quali, nella ricostruzione hanno ben evidenziato che al momento dell’infortunio l’infortunato stava lavorando con altri operai al montaggio di una controsoffittatura, in una situazione di totale pericolo dovuta alla assenza di misure di protezione e dotazioni di sicurezza idonee a prevenire le cadute dall’alto, e senza aver ricevuto una formazione e informazione in merito ai rischi specifici connessi al genere di attività che ha occasionato il sinistro, ignorando perfino la natura non portante del controsoffitto, il cui sfondamento per il peso esercitato ha originato la caduta sulla sottostante scrivania.

Sono state pertanto ritenute corrette le argomentazioni svolte dalla Corte di Appello a sostegno della pronuncia di condanna del datore di lavoro, responsabile di tutte le violazioni delle norme antinfortunistiche indicate nell’imputazione, peraltro non contestate nel ricorso. Le condotte omissive accertate hanno quindi spiegato efficacia causale nella determinazione dell’evento lesivo, evento che, con alta probabilità logica, non si sarebbe verificato in caso di rispetto nelle norme cautelari. Nessuna iniziativa, altresì, era stata assunta dall’imputato per controllare che i lavori all’interno del capannone in ristrutturazione venissero eseguiti in sicurezza con l’osservanza delle regole di cautela, in maniera da neutralizzare anche eventuali comportamenti imprudenti degli operai.

La sentenza impugnata è stata del pari ritenuta immune da censure laddove ha affermato, da un lato, che un’eventuale consapevolezza del lavoratore infortunato della complessiva inadeguatezza del cantiere allestito all’interno del capannone non valeva ad elidere la responsabilità dell’imputato, e, dall’altro, che se il datore di lavoro si fosse conformato alle regole di cautela e avesse preso in doverosa considerazione, stante la sua posizione di garanzia, anche un eventuale comportamento inadeguato del lavoratore, l’infortunio non si sarebbe verificato.

 

Il rispetto delle norme prevenzionali infatti”, ha così concluso la Corte di Cassazione che ha quindi rigettato il ricorso e confermata la condanna dell’imputato, “ha lo scopo di ridurre al minimo il rischio di incidenti che è fisiologico possano avere alla base l’errore dell’operatore, generato anche da imprudenza. Proprio al fine di scongiurare tali eventi nefasti, evitabili rispettando gli standard di sicurezza imposti dalla legge, vi sono soggetti chiamati al ruolo di garanzia in favore degli operatori esposti al rischio antinfortunistico: essi non possono pretendere esonero di responsabilità in caso di condotta inadeguata del lavoratore, fatto salvo il contegno abnorme, che si configura in caso di comportamento anomalo, assolutamente estraneo alle mansioni attribuite, esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere”.

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